Löwendenkmal

o "La storia senza fiorellini"

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  1. Jericho XVIII
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    Löwendenkmal
    o "la storia senza fiorellini"



    _autore: Jericho XVIII
    _genere: Fantastico, Surreale
    _rating: Verde
    _tipologia: One Shot
    _breve descrizione: Un tributo alla creatività, alla scrittura, ai personaggi dei racconti.
    _note: Scritta per un amico che mi chiedeva una storia "di qualsiasi tipo, ma senza fiorellini". SPOILER:
    Il "löwendenkmal", "leone morente", è una scultura che si trova a Lucerna; "Graograman" è il leone gigante del deserto di Goab che Michael Ende descrive nella sua "Storia Infinita", libro che consiglio a chiunque.





    E’ davanti al suo specchio, nuda, in quel cimitero di cocci grigi.
    Il castello è silenzioso. L’aria su cui è sospeso è immobile, ma la carta delle sue mura ondeggia sotto una brezza gentile.
    Dal collo le cade una catenella, che termina in un piccolo orologio d’ottone bianco. I suoi rintocchi non hanno eco. Maqquis li ascolta con attenzione. Sono quartine e ottavi, pause e sospiri, tutti irregolari, sfasati, aritmici. Sono i battiti del suo cuore.
    Si guarda. I lunghi capelli blu le coprono le spalle, la pelle diafana è quasi trasparente. Gli occhi scuri, fissi nel suo riflesso.
    Un’ombra le attraversa il ventre, da un fianco alle clavicole, e una risata pervade la stanza. Maqquis sorride appena. Abbassa lo sguardo. L’ombra si ferma sul suo ombelico, vi sbadiglia dietro, incontra gli occhi della ragazza.
    - Buonasera. No, aspetta, non c’è sera qui dentro, vero? E’ sempre notte…
    La ragazza si stringe nelle spalle e lo saluta con un cenno. – Buonasera, Augustus.
    Quello si stropiccia una guancia e accenna all’orologio di ottone. – Siamo ad undici, eh?
    Maqquis annuisce con aria colpevole.
    Augustus ridacchia. – Undici e quanto?, domanda.
    - Undici e un po’.
    La ragazza si allontana dallo specchio ed esce dalla camera. Mentre cammina, schegge di pietra le feriscono i piccoli piedi. Augustus, l’ombra sul suo ventre, è silenzioso e la ascolta camminare.
    Arrivata sul balcone, davanti ad una fredda parete di vetro opaco davanti a sé, Maqquis si sfiora un braccio per chiamarlo.
    Augustus si annida sul suo collo, sotto il mento, e si guarda dentro quel vetro: è una forma bianca e tremula, come abbozzata da una matita incerta, e di Maqquis non c’è traccia.
    Batte le mani sul petto della ragazza - e i suoi palmi non fanno rumore. – Andiamo! dice allegro.
    Il vetro si contrae ed un nero più profondo si coagula davanti alla ragazza. E’ un piccolo tunnel. Maqquis si accovaccia ed entra.

    Dall’altra parte, una grande sala tutta a scacchi. Maqquis è agghindata di tutto punto. I suoi capelli sono legati in un elegante chignon.
    - Buonasera, cara ragazza!
    C’è uno scheletro accanto ad un tavolino a tre piedi che lascia subito la sua tazza di te per venirle incontro. Le toglie il soprabito, si inchina, e lei ricambia con un sorriso dolce.
    - E’ già notte, Bondouelle. -, lo corregge.
    - Mai tardi, mai tardi! - ribatte lo scheletro, e la invita a sedersi.
    La ragazza come al solito prende la sua tazzina con due mani e aspetta che l’altro la inviti a bere. Accavalla le gambe e soffia sul tè caldo.
    Bondouelle si sporge verso di lei con aria complice. – Ci siamo quasi, nevvero?
    Maqquis prende un sorso e non risponde.
    - Ma del resto, prosegue lo scheletro, dubito che tu stia aspettando altro!
    La ragazza sente gli occhi farsi umidi e continua a bere in silenzio. Bondouelle se n’è accorto, ma fa finta di nulla. Le ammicca. – Ventiquattro meno sette fa diciassette. Un numero sfortunato, non trovi?

    Il tunnel è buio e lei sente freddo. Tiene la testa bassa in modo da non sbatterla, ma è scomodo; i capelli le vanno sul viso, le sfiorano le mani in un tocco sinistro…
    Deve gattonare per qualche minuto e poi arriva alla caverna. Si siede ed incrocia le gambe.
    Un mugolio è il saluto del leone.
    Maqquis lo osserva con il cuore a pezzi. La sua pelle un tempo solida e liscia è piagata da crepe dalle quali si intravede un vuoto bianco che fa paura. Il suo pelo, che era folto e morbido, inizia a cadergli accanto in piccole ciocche. Di giorno, quelle ciocche le chiamano polvere.
    Stava morendo.
    - Graogramar… - chiama Maqquis tristemente. Il leone volta la testa e la guarda con compassione.
    La ragazza si stringe le ginocchia al petto e inizia a singhiozzare. – Non voglio lasciarti. Non ti voglio lasciare! - grida nel pianto.
    Il leone muove la sua grossa testa verso di lei e la strofina contro le sue gambe.
    Maqquis si scopre la pancia. Augustus è là che studia tutto con espressione grave, all’altezza delle sue costole.
    Maqquis lo tocca. Si sporca le dita. Una macchia nera le tinge i polpastrelli.
    Con risolutezza, tende le mani sul corpo del leone, e lo ricopre tutto d’inchiostro.
    Mentre lavora piange, ma di gioia. E anche il leone dopo un po’ riacquista il suo basso ruggito. Gorgoglia di felicità mentre tutto il suo corpo possente diventa dall’oro al colore della notte, e scuote la criniera ora ancora folta, muove le zampe come per giocare, fa schioccare la coda in aria; Maqquis gli ride insieme, e sottovoce lo saluta, lo coccola, gli dice: “addio, Graogramar, questa è l’ultima volta…”

    La ragazza si svegliò sdraiata su di un fianco. Sotto i capelli, la carta soffice del suo cuscino era macchiata di pianto.

    Quando sorse il sole, a Lucerna la pietra scomparve. Al suo posto, quel giorno trovarono sul marmo una scura macchia d’inchiostro. Gocciolava giù dalla nicchia, verso lo stagno, come denso sangue nero.

    - Così ce l’hai fatta, ragazzina, mormora meditabondo Bondouelle. Sta osservando nell’oblò di un pendolo Maqquis tra gli altri turisti che si sconvolgono per l’assenza della scultura, là nel monumento.
    Finisce di bere il suo tè. Sono ventiquattro anni che non succede, neanche con la sua tazzina migliore.
    - Undici sculture dopo, la piccola si è svegliata -, prosegue con il suo accento francese lo scheletro. Apre il pendolo, manda un po’ avanti l’ora sulle coordinate del castello di carta di Maqquis.
    Zoomma sulle schegge di pietra che ricoprono gli scaloni, i ripostigli, i pavimenti delle stanze.
    - Ha fatto in tempo a costruire e smontare un intero mondo… - Scuote tra sé la testa, sorride, non c’è niente da fare: la ammira almeno un po’.
    Torna al treppiedi. Si siede. Una tibia gli cigola, lui la zittisce con un’occhiata stizzita.
    Davanti a sé c’è una teiera che bolle. Quella fredda è vuota nella sua mano sinistra.
    Con un orecchio che non ha, lo scheletro si mette in ascolto dell’acqua che inizia a bollire.

    Maqquis rimira la parete della stanza.
    C’è scritta su una storia, scritta con la china del suo corpo.
    Finalmente.
    Scritta con Augustus, letteralmente con Augustus, il vecchio compagno, il ragazzo felice che abitava la sua pelle, che ora non è niente più che una macchia sulla sua spalla, un piccolo occhio azzurro che socchiude affaticato la palpebra e guarda Maqquis sospirare.
    - E’ finita -, sente la ragazza nella sua testa, perché Augustus non ha più bocche con cui parlare.
    - No… - risponde sottovoce.
    Bacia l’occhio e quello si chiude. Poi tende la sua mano verso l’angolo della stanza, e con uno scatto vi scrive il suo nome. Maqquis.
    E Augustus scompare in un battito di ciglia, consumato fino all’ultima goccia. Da qualche parte, un calamaio vuoto cade a terra e si frantuma.
    Ma Maqquis sorride. Si lascia cadere all’indietro.
    Dolcemente, con un sussulto appena, accanto al calamaio scivola un foglio.
    L’orologio d’ottone bianco batte il dodicesimo rintocco.

    In un altro mondo una bambina sfoglia un grande libro di fiabe.
    Da una pagina la saluta un curioso animale. Scuote la criniera e ride. Poi, immobile, le fa l’occhiolino.
    La bambina si accarezza un ricciolo blu, guardando il leone nell’illustrazione della storia.
    - Lo conosciamo? - chiede.
    Un’ombra le si affaccia dall’ombelico.
    – Pare di sì -, risponde.

    Nella stanza tutta scacchi Bondouelle immerge una seconda bustina di tè, poi con due mani piega un foglio. E’ un bel foglio di carta di riso, di quelli per fare gli origami. Con pazienza, mentre l’infuso insaporisce l’acqua bollente, lo scheletro piega un altro bel castello.
     
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    Bellissima per la sua particolarità. Come ti ho già detto mi piace moltissimo il tuo stile. Noto che ti piace molto scrivere scritti sul soprannaturale e surreale.
    Complimenti!
     
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  3. lee‚
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    E io che ero convinta di averla commentata questa tua one-shot...>__<
    Comunque, devo ripetermi: mi piace molto il tuo stile. E' molto particolare ed inoltre scrivi molto bene!! ^^
    Ho adorato la fine di questa storia, ha mostrato quanto alla fine, quello che hai raccontato, sarebbe destinato a ripetersi di nuovo... Complimeti davvero!!
     
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  4. Jericho XVIII
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    Grazie ad entrambe, gentilissime! :heart:
    @Sanda: infatti non so se ho sbagliato o cosa ma facendo una specie di "inventario dei racconti" per scegliere cosa postare sul forum ho scoperto che almeno un terzo delle storie che ho scritto sono di questo genere °_° Ora cercherò di variare!
     
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    Mi associo ai commenti delle altre **
    Mi piace molto il tuo modo di scrivere <3
     
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  6. Jericho XVIII
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    Grazie anche a te cara! :mki:
     
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  7. ;vanc.
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    CITAZIONE (R e n e g a d e` @ 16/1/2012, 14:46) 
    Mi associo ai commenti delle altre **
    Mi piace molto il tuo modo di scrivere <3

    *O* Mi associo. Scrivi molto bene, mi piace il tuo stile!
     
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  8. JennySunny~
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    Che bella storia, mi ha davvero colpita!
    Soprattutto il personaggio di Augustus, non avrei mai pensato ad una trama del genere!
    Bravissima! *C*
     
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  9. ‚Sherry
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    Mi è piaciuta moltissimo!! Cioè, non l'ho capita molto (e non ti chiederò di spiegarmela perchè so che è sempre un supplizio spiegare le proprie storie, almeno per me) però mi è piaciuta perchè evoca tutta una serie di immagini, molto pittoresche, e poi scorre davvero bene C:
     
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8 replies since 12/1/2012, 22:34   127 views
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