Porcelain

storia a capitoli conclusa || giallo || romantico / drammatico

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    Porcelain



    _autore: H a y l s`
    _genere: drammatico / romantico
    _rating: giallo
    _tipologia: storia in capitoli
    _breve descrizione: Charlotte.
    Lei era come una bambola di porcellana, delicata, elegante e perfetta.
    Pelle diafana, occhi chiari, capelli rossi e ricci, un corpo chiuso in un corsetto di un vestito bianco da bambola.
    E dal primo momento in cui la vidi riuscii a scorgere delle crepe su quella pelle liscia e perfetta.
    Crepe che continuava a tentare di nascondere. Eppure io le vedevo, e ci vedevo attraverso.

    Kaja si rende conto di amare la sua migliore amica, Charlotte. Un amore inconfessabile che perseguita Kaja fin dall'infanzia.
    Un giorno un ragazzo entra nelle loro vite, Noah, che sconvolgerà completamente i loro mondi.
    _note: la storia è ancora in corso di scrittura. Ho dei capitoli pronti ma credo che pubblicherò piano piano così magari riesco a scrivere altri capitoli senza lasciarvi attendere troppo.


    Characters

    1. Wrongs

    Köln. 1995, 18 Agosto.
    Venni al mondo, urlando, piangendo, scalciando con le mie piccole gambe.
    Ero entrata in un mondo oscuro dal quale mia madre non avrebbe più potuto proteggermi completamente. E questo lo capii già a tre anni.
    Una piccola bambina dai capelli neri, scuri come la pece, gli occhi verdi e le lentiggini sparse sulle guance e sul piccolo nasino. Una bocca fina dalla quale sparare sentenze era sempre stato facile.
    Fin troppo intelligente per i miei coetanei, da sempre. Immersa in un mondo di fantasia rilegato in tantissimi libri differenti.
    Ero estranea a tutti loro.
    Al loro linguaggio scurrile, a quelle feste, allo sballarsi.
    Ero estranea a tutto quanto che non fosse arte.
    Ero un'adolescente strana, lo ammetto. E questo era causa di disperazione per la mia normalissima famiglia. A volte pensai seriamente che mia madre avrebbe preferito vedermi tossica piuttosto che con la testa immersa in un libro qualunque.
    Le mie feste di compleanno erano sempre state deserte. O meglio. Di chi invitavo io non veniva mai nessuno. E per questo condividevo da sempre il mio compleanno con quella che avrei dovuto considerare come una sorella.
    Charlotte.
    Lei era come una bambola di porcellana, delicata, elegante e perfetta.
    Pelle diafana, occhi chiari, capelli rossi e ricci, un corpo chiuso in un corsetto di un vestito bianco da bambola.
    E dal primo momento in cui la vidi riuscii a scorgere delle crepe su quella pelle liscia e perfetta.
    Crepe che continuava a tentare di nascondere. Eppure io le vedevo, e ci vedevo attraverso.
    La sentivo. La sua anima chiamava la mia. Esattamente come la mia chiamava la sua.
    Ci legava una data che nessuna delle due poteva dimenticare.
    Nate nello stesso giorno da due madri amiche.
    Le coincidenze della vita.
    E per me, piccola ragazza incapace di adattarsi, lei era sempre stata la luce.
    Il mio tutto.
    Lei era la mia migliore amica, da sempre. Anzi, era la mia unica amica.
    E mi aggrappavo a lei con tutte le forze, con le unghie e con i denti, perchè infondo era da sempre stata la mia vita.
    Eravamo cresciute l'una accanto all'altra, nelle nostre diversità e forse proprio per questo eravamo stato sempre unite. Indivisibili.
    L'una la spalla dell'altra. O almeno così mi era sempre sembrato.
    Quella sorta di affetto che avevamo l'una per l'altra cambiò man mano nel tempo senza che nessuna delle due potesse controllarlo, per un motivo o per l'altro.
    Il mio si tramutò inevitabilmente in qualcosa di più profondo e radicato. Il suo in qualcosa di angosciante, ammorbante. Un sentimento che riusciva solo a farle male, ad inacidirle il cuore.
    La vidi cambiare sotto i miei occhi fino a non vederla più.
    La bambina dagli occhi chiari e i capelli ribelli di un rosso anomalo divenne presto una ragazza con lo sguardo ammaliante, dai capelli perfetti e lucenti.
    La sua pelle chiara un tempo segnata da lividi infantili da gioco divenne presto levigata, liscia e perfetta.
    Il suo esile corpo veniva sempre più spesso racchiuso in abiti da bambola che la rendevano un'essere sovrannaturale.
    Al suo fianco la sciatta ragazzina dai capelli neri con i jeans sdruciti e la maglietta nera degli "Alice in Chains" passava molto più che inosservata.
    Diventava la sua ombra.
    Qualcosa che c'era costantemente, che tutti davano per scontato, e che non si curavano di calpestare.
    In tutta quella delicatezza, in tutta quella perfezione la mia Charlotte non c'era più. Sparita sotto un cumulo di cipria, sotto un cumulo di parole che mai avevo sentito uscire dalle sue labbra.
    In quel periodo non sapevo, io non sapevo nulla di quello che aveva procurato quel cambiamento. Perchè lei si era staccata da me. Perchè lei si era tenuta il dolore per sé.
    Eppure lo vedevo. Io lo vedevo.
    Vedevo la sofferenza in lei, persino mentre sorrideva.
    Vedevo quelle crepe che continuava a nascondere e sapevo che stava morendo dentro.
    E per quanto lei tentasse di allontanare tutti sapevo che in realtà era proprio del contrario che aveva bisogno.
    Fingeva, costantemente. Eppure continuava ad aggrapparsi a me tanto da farmi male, tanto da trascinarmi nel fondo, nell'abisso più tetro.
    Avevamo solo quattordici anni quando riuscii a dare un nome al mio bisogno costante di lei. Amore.
    Era una parola che mi riempiva le labbra e faceva sobbalzare il cuore.
    Avevo letto così tanti romanzi sull'amore che ero sicura che lo avrei riconosciuto sempre in netto anticipo.
    Eppure nessuno sa descrivere veramente l'amore. No, non è tutto rosa, non è tutto fiaba e cuoricini.
    Fa male, ti distrugge, ti confonde. Fa piangere.
    La amavo perchè la sua anima mi aveva sempre chiamata e la mia le urlava contro affinché la afferrasse.
    Avrei voluto stringerla a me sempre, sentire il suo profumo sui miei vestiti, affondare il volto nei suoi capelli.
    La amavo più di quanto avessi mai amato me stessa e proprio per questo rigettavo l'idea di un tale sentimento.
    L'amore non ha sesso. L'amore è solo amore.
    Ero innamorata di una donna, sì.
    E mi distruggeva la consapevolezza di quanto fosse sbagliato.
    Sbagliato perchè lei non avrebbe mai potuto amarmi allo stesso modo.
    Perchè nei suoi occhi non c'era il bagliore che avevo io nei miei.
    Avevo avuto intenzione di dirglielo un giorno.
    Ma le cose arrivano sempre nei momenti meno propizi.
    E la mia cosa al momento sbagliato fu Noah.
    Un anno più grande di noi, occhi azzurri magnetici, capelli biondi e costantemente scompigliati.
    Immaginai dovesse essere un bel ragazzo agli occhi di tutti. Infondo lo era anche agli occhi di Charlotte.
    Quel giorno chiusi, blindai, quel sentimento nel mio cuore.
    Il mio amore segreto seppellito nel centro dell'Oceano.


    2. Rebirth
    3. My Charlotte, his Charlotte
    4. For the love of a daughter
    5. Sascha
    6. Fresh Air
    7. Revelations
    8. Against
    9. Since you hate everything I feel
    10. How can I stop waking up?
    11. Wrong ideas, wrong solutions
    12. Broken Pieces
    13. Abandoned
    14. The hole in my apologies
    15. Encounters and conflicts
    16. The angry farewell
    17. And tell me: how I've lost my power?
    18. In front of the Court
    19. Hugo
    20. Drop Dead Doll
    21. Don't look at me like if I were dead
    22. I know more than you about love
    23. Why do you have to go and make things so complicated?
    24. Help, my heart it's beating like a hammer
    25. We are a damn square
    26. All I want for Christmas is you
    27. All's fair in love and war
    28. Double Date
    29. Unanswered
    30. A silence that speaks
    31. Hanging by a thread
    32. Music is the reason why I know time still exsists
    33. Do you see what I see?
    34. Sometimes love is not enough
    35. Women always says the opposite of what they want
    36. Tryin' to find air to breathe again
    37. I could go to Hell for you
    38. Every choice you make will affect you
    39. I'm falling all over myself
    40. And I am yours forevermore
    41. Torn
    42. You're just a memory to let go of
    43. Maybe there's beauty in goodbye
    Epilogo

    Edited by drumming` - 4/2/2013, 22:14
     
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  2. lee‚
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    Mi piace molto questo primo capitolo, mi hai incuriosito parecchio...u_ù Per poter dare commenti più approfonditi dovrò aspettare il seguito, ma per ora mi piace! ^^
    Anche a te piacciono gli Alice in Chains?? :happy:
    Ho notato una piccola cosa:
    CITAZIONE
    sentire il suo profumo su i miei vestiti

    "sui" attaccato...^^

    Ancora complimenti, e spero di leggere presto il seguito, brava davvero! :heartpink:
     
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    Grazie **
    Uh, correggo subito **
    Credo che ce ne siano altri di errorini sparsi :S
    Anyway, in realtà non li ho mai sentiti XD
    E' il caso che li ascolti probabilmente XD
    Ero alla ricerca di una band ed ho chiesto ad una mia amica, LOL
    Grazie ancora **
    Il secondo capitolo arriverà presto, promesso <3
    (magari anche domani XD)
     
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  4. lee‚
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    Nuoooo! ç__ç Devi ascoltarli assolutamente...xD Alcune canzoni sono veramente molto belle! ^^
    Di errori io ho notato solo quello, nel caso vedessi altro ti avviserò...u_ù
    CITAZIONE
    Il secondo capitolo arriverà presto, promesso <3
    (magari anche domani XD)

    Oooh, magari!! =w=
     
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    Ce l'ho in programma! <3
    Giuro che lo farò u,u
    Magari domani, anzi me lo segno così prima o poi mi decido XD

    Ahah, vediamo :3 tanto sono arrivata al 7 quindi ... XD
     
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    2. Rebirth

    Scuola Superiore di Köln. 2011, Settembre.
    Cambio quartiere, cambio scuola
    Nuovi volti, nuove vite, nuove emarginazioni.
    Nuova gente da ammaliare per Charlotte.
    Un vestito rosa pallido comprensivo di corsetto stringeva il corpo di lei. I soliti pantaloni sdruciti, le Converse nere, e la maglia nera abitavano sul mio corpo.
    Io dietro di lei, come sempre.
    Quel giorno incontrammo per la prima volta Noah.
    L'armadietto di Charlotte si trovava vicino al suo ed il mio esattamente dalla parte opposta del corridoio.
    Un sorriso trentadue denti ed una mano tesa.
    Il sorriso di Charlotte, gli occhi che sbrilluccicavano e la voce vellutata che pronunciava il suo nome.
    Il mio mondo che cadeva in pezzi.
    Quegli occhi che spesso si erano posati su di me ora avevano un bagliore che non conoscevo, vi era qualcosa che non ci avevo mai visto dentro.
    Interesse.
    Un bagliore che mai e poi mai lei mi avrebbe rivolto, lo capii in quell'istante.
    E mentre il mio cuore si agitava, sempre più confuso, le mani iniziavano a tremare chiudendosi in due pugni che avrei tanto voluto scagliare contro Noah solo per il fatto che esistesse, solo per il fatto che avesse osato venire al mondo.
    E fu a quel punto che potetti dare un nome definito ad una nuova sensazione: gelosia.
    La mia piccola Charlie non mi aveva mai dato alcun motivo per esserlo davvero. Ammaliava tutti ma non cadeva nella rete di nessuno.
    E allora nel mio cuore c'era stato posto solo per disperazione e invidia nei casi più relativi alla questione.
    Ed ora fitto nel cuore c'era quel mondo sconosciuto ed insensato.
    Perchè forse conoscevo veramente troppo a fondo Charlotte per non sapere quanto Noah avrebbe segnato le nostre vite, in due modi differenti.
    E sicuramente modi che non ci aspettavamo.
    Li vidi allontanarsi senza neanche aver ascoltato una delle loro parole, troppo assordata dal rumore dei miei pensieri per rendermi conto di qualsiasi altra cosa.
    Recuperai la mia cartella nera disastrata e mi avviai dietro di loro. Un'ombra perfetta che seguiva ogni lezione di Charlotte.
    Li seguii in silenzio a testa bassa, come ogni volta che camminavo d'altronde, ascoltando le loro voci ovattate in lontananza a confronto con la guerra nel mio piccolo cervello inutile.
    I passi dei due ragazzi si arrestarono, i miei pensieri no, e la mia testa si scontrò contro una schiena dura, ampia.
    Ed ecco il bel volto di Noah acchiappare anche il mio sguardo mentre si volta stupito, sorride divertito e poi sposta lo sguardo su Charlotte.
    -Oh, lei è Kaja, è una mia amica- la voce vellutata di lei mi raggiunge mentre Noah si volta verso di me e sorridente mi porge la sua mano.
    -Noah, piacere-
    E' questo il nostro primo incontro per come lo ricordo.
    Arrossii, come ogni dannata volta, sembravo essere condannata a farlo, e allungai timidamente la mia piccola mano fino a stringerla flebilmente con la sua.
    -Piacere- un lieve sussurro che non ero neanche sicura avesse udito.
    Ecco un altro difetto. Timidezza.
    Abominevole timidezza.
    Non ero abituata a socializzare, tanto meno a parlare molto. Neanche con lei parlavo così tanto, infondo.
    Un altro piccolo sorriso di lui ed il mio odio crebbe, sconfinato.
    Perchè non solo sembrava essere un bel ragazzo ma era anche simpatico e cordiale.
    Gli occhi di lei scintillarono attirando la mia attenzione. Avrebbero mai scintillato così guardandomi?
    Certo che no Kaja. Sogni ad occhi aperti.
    Abbassai lo sguardo sentendo nel frattempo il veleno arrivarmi alle labbra, seccandole. E forse dovrei persino ringraziarlo quell'odio.
    Perchè quel giorno, dopo diciassette anni, l'ombra decise che sarebbe stata un pò meno tale.
    Tirai dritto passando esattamente fra loro due mirando all'entrata della classe qualche metro più a fondo.
    Io, Kaja, ero uscita da quel ruolo per qualche secondo e mi ero sentita viva come non mai.
    Mi ero sentita Kaja come mai prima. Avevo un nome, mi ero dimenticata di averlo, e avevo deciso che lo avrei portato a testa alta.
    Perchè per liberarmi di Noah avrei dovuto smetterla di essere la ragazzina dietro Charlotte ed iniziare ad essere una normale ragazza, una comune amica, che guarda in alto quando cammina e non i piedi dell'altra neanche fosse uno zerbino.
    Mi voltai verso di loro posando lo sguardo su Charlie.
    -Arriveremo in ritardo- la voce più alta di quanto mai avessi immaginato di poterla avere.
    Di un livello comune, sorprendente.
    Mi voltai, non li aspettai.
    Entrai in quella classe e da quel momento iniziai veramente a vivere, oltrepassai quella soglia con il cuore che urlava, piangeva, e scalciava nel petto eppure non faceva poi così male.


    Edited by R e n e g a d e` - 17/1/2012, 13:58
     
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  7. lee‚
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    Prima di commentare ti faccio notare qualche piccolo errore che ho notato:
    CITAZIONE
    Quegli occhi che spesso si erano posati su di me ora avevano un bagliore che non conoscevo, qualcosa che non ci avevo visto dentro.

    la seconda frase la sistemerei, metterei qualcosa di simile: "vi era qualcosa che non ci avevo mai visto dentro"
    CITAZIONE
    I passi dei due ragazzi si arrestarono, i miei pensieri no, e la mia testa si scontra contro una schiena dura, ampia.

    scontrò
    CITAZIONE
    Arrossi, come ogni dannata volta,

    Arrossii.
    CITAZIONE
    -Piacere- un lieve sussurro che non sono neanche sicura avesse udito.

    ero.
    CITAZIONE
    Abbassai lo sguardo sentendo nel frattempo il veleno arrivarmi alle labbra, seccandole. E forse dovrei persino ringraziarlo quel sentimento.

    Qui forse stai parlando dell'odio che prova Kaja verso Noah, ma secondo me non si capisce molto messa dopo quell'altra frase. Ti consiglierei di sistemarla in un altro modo! ^^

    Comunque, anche questo capitolo mi è piaciuto, sono curiosa di vedere come andrà avanti la storia! Solo una cosa, mi piacerebbe di più (ma questo è gusto mio personale) se in alcuni punti ti soffermassi di più a descrivere alcune scene. Come l'incontro con Noah, forse è stato troppo veloce, ma mafari era quella la tua intenzione...xD Comunque sia, complimenti! ^^
    Sono curiosa di leggere il seguito :happy:
     
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    Grazie, correggo subito **
    Ero convinta di aver corretti gli errori "annuii" e "scontrò" XD
    Comunque hai ragione sulla velocità dei primi capitoli, ma poi diciamo che cambia parecchio ^^
    Ora provo a correggere seguendo i tuoi consigli :3
     
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    3. My Charlotte, his Charlotte



    La pioggia batteva incessantemente da giorni su Köln.
    Avevo sempre più l’impressione che il cielo volesse essermi vicino piangendo lacrime che io non osavo versare.
    Noah era entrato ormai a far parte della quotidianità di Charlotte e di conseguenza anche della mia.
    Per quanto le cose potessero essere cambiate lei restava in ogni caso la donna che amavo e separarmi da lei sarebbe forse stato peggio che smettere di respirare.
    Ogni ora passata con lei mi donava aria uccidendomi allo stesso tempo.
    Per quanto le urlassi contro il mio amore a pieni polmoni lei non riusciva ad arrivare al fondo per sentirlo. Anzi, lei Kaja non la vedeva neppure.
    E quell’amore nei suoi occhi così placido e nuovo che si rifletteva in quelli di Noah mi regalava un dolore che mai avevo conosciuto.
    Con ansia crescente attendevo il compimento del grande passo per poter incidere RIP sul cuore.
    Il loro sentimento cresceva all’interno della solita incertezza che ti fa dubitare del cuore dell’altro. Non potevo negare al mio cuore che esisteva da ambo le parti.
    Eppure in quei tre mesi io avevo smesso di odiare lui. Credo fosse davvero impossibile odiare Noah.
    Aveva un sorriso per tutti, lui c’era per tutti. E tacitamente iniziai a considerarlo come il mio migliore amico per quanto poi fossimo rivali in amore.
    Ma questo infondo lo sapevo solo io.
    Credo che fosse lo stesso per lui nei miei confronti fin da subito.
    Mi mostrava costantemente affetto ricevendo davvero poco in cambio.
    Eppure avevo sempre l’impressione che riuscisse a vedere fra le crepe del mio cuore esattamente come io riuscivo a farlo con Charlotte.
    Era un affetto silenzioso il nostro. Un tacito assenzo palpabile.
    Lo respiravamo entrambi sapendo che in qualche modo poi sarebbe maturato.
    Ero affacciata alla finestra con la fronte poggiata al vetro.
    Avrei voluto essere lì fuori, sotto la fredda pioggia. Forse lei poteva lavarmi via di dosso tutto quel mondo sotterraneo.
    Il cuore in tempesta si ribellava all’idea di non potersi sfogare come il cielo ed io tentavo di tenerlo a bada quando gli occhi si spostarono sulla strada.
    La sua chioma rossa leggiadra riparata da un piccolo ombrellino rosa, il corpo nascosto in un cappotto nero dal quale uscivano le gambe avvolte in calze color ciliegia.
    Muoveva la testa divertita ma lo sguardo era fisso su qualcosa che non riuscivo a vedere.
    Poi la chioma rossa si spostò rivelando, sotto una cascata bionda, il dolce e familiare volto di Noah.
    Una mano che si spostava delicatamente dietro la schiena di lei attirandola a sè con un’accuratezza che credevo inesistente.
    Anche lui sapeva quanto fosse delicata la mia Charlotte e per questo la trattava con cura come la bambola che lei si sforzava di essere.
    L’altra mano si spostò sfiorandole il volto prima di attirarla a sè per stringerla. I loro sguardi si fusero in un silenzio carico di sentimenti.
    Il loro primo bacio. Una promessa suggellata fra le labbra davanti a due occhi che mai avrebbero voluto vederlo.
    La risata soave di lei si levò nell’aria mentre lui la stringeva a sè consapevole di averla resa sua. La sua Charlotte.
    Avrei voluto spingere le dita negli occhi ed impedirgli di vedere.
    La mano si strinse a pugno sulla tenda prima di chiuderla con violenza. Mi voltai verso la mia stanza.
    Tre secondi di morte silenziosa e poi corsi alla porta chiudendola a chiave.
    Accesi lo stereo a tutto volume e mi sentii invadere dall’intro della canzone.
    Mi misi le mani fra i capelli lasciando che la mia voce si fondesse con quella di Lacey Mosley in uno screamo di dolore.
    Urlai con forza fino a ferirmi la gola per poi rendermi conto che qualcuno bussava violentemente alla mia porta.
    Mi voltai e la aprii mentre la voce di mia madre riempiva inutilmente l’aria.
    -Kaja sei forse impazzita?- ammutolì immediatamente trovando il mio volto sconvolto da un dolore che non sapeva appartenermi.
    La fissai quasi terrorizzata. Inforcai la felpa nera sul letto ed infilandomela velocemente corsi fuori dalla stanza gettandomi sulle scale.
    -Kaja dove vai? E’ freddo fuori, Ka...- la voce scomparve dietro la porta bianca sbattuta con violenza.
    Mi strinsi nella felpa e mi voltai verso la destra. Erano ancora lì.
    La mano di lui in quella di lei, i loro sguardi incrociati, un silenzio che pesava sul mio cuore.
    Alzai il volto al cielo lasciando che la pioggia mi bagnasse il volto e poi scattai verso di loro. Corsi fra loro dividendoli.
    -Kaja?!- la voce di Charlotte giunse alle mie orecchie. Mi voltai e piantai i miei occhi sconvolti in quelli di lei facendola sobbalzare dalla sorpresa.
    -Cos'è successo?- le loro mani ora erano divise e Noah mi porgeva la sua preoccupato.
    Mosse un passo verso di me e persi nuovamente il controllo.
    -Stammi lontano!- il mio urlo lo immobilizzò. Il suo sguardo stupito assunse improvvisamente un'espressione preoccupata.
    Voltai loro le spalle scuotendo la testa prima di scattare via. Lontano da loro.
    Presi a correre il più veloce che potevo fino a trovarmi nei pressi del Parco.
    Arrestai la mia corsa portandomi una mano sulle labbra prima di iniziare a singhiozzare senza controllo.
    Mi guardai attorno confusa portandomi la mano sul cuore. Lo sentii esplodere sotto la superficie.
    Mi inginocchiai a terra e tornai a piangere fuori controllo.
    Non so dire per quanto rimasi lì preda di uno sconvolgimento interiore che non sapevo controllare. So solo che improvvisamente tutto divenne nero.
    Il mio corpo perse le sue forze accasciandosi a terra. La mente persa in un buio oblio che per quanto spaventoso non faceva male. Il dolore lì non c’era. Svanito come nebbia sotto il sole di Mezzogiorno.
    In quell’incoscienza non mi resi quasi per nulla conto di quanto stesse succedendo attorno a me.
    In seguito seppi che mentre fuggivo lontano da Charlotte e Noah mia madre era uscita dalla casa tentando di fermarmi per capire cosa fosse successo fuori dal suo dominio.
    Lo scenario che si era ritrovata davanti doveva averla inquietata molto da quanto mi raccontarono visto che corse verso di loro in preda al panico.
    -Cos' è successo?- Charlotte dice che in quel momento la sua voce è risultata molto più acuta di quanto l’avesse mai udita.
    -Non lo so...- la preoccupazione sul volto di Noah posso immaginarla molto bene nel modo in cui lei l’ha descritta.
    Il resto è molto confuso anche nel racconto che mi hanno dato della vicenda ma in ogni caso l’unica cosa certa e che Noah abbia deciso di seguire le mie orme provando a raggiungermi.
    Non me ne resi conto correndo che lui non era poi così distante da me.
    Credo anche che mi abbia visto accasciarmi a terra piangendo mentre mi correva incontro, ed ovviamente mi raggiunse quando ormai avevo perso i sensi.
    Nell’incoscienza percepii delle braccia stringermi anche se non seppi dargli un volto in quel momento.
    Sentii un calore avvolgermi ed il terreno sparire sotto di me.
    Sono sicura di aver aperto gli occhi in qualche occasione accontentandomi di una visione sfuocata di un volto contornato da capelli biondi.
    -Kaja? Kaja rispondimi, ti prego...-
    Sentii a più riprese questa voce invocare il mio nome ma mai riuscii a dargli una risposta.
    Ovviamente era Noah a tenermi fra le sue braccia, lui a parlarmi, lui terrorizzato che correva verso casa mia.
    E fu sempre lui a stendermi sul letto per coprirmi con le coperte.
    Restai lì per un paio d’ore, a quanto mi hanno detto, prima di riaprire gli occhi sul mondo.
    Accanto a me c’era Noah, una sua mano stretta nella mia, l’altra che mi sfiorava delicatamente la fronte.
    -...Noah...- la voce roca riempì il silenzio, lo vidi sobbalzare per poi avvicinare il volto al mio carezzandomi con più delicatezza. I suoi occhi fissi nei miei che a malapena lo vedevano, la presa sulla mia mano si fece più salda.
    -Hai la febbre- sussurrò al mio orecchio con dolcezza crescente.
    Mi stupii di tutto quell’affetto e credo anche di essere arrossita. Ma forse ero già rossa a causa della febbre.
    Mentre la mia mente vagava nel vuoto avevano trovato persino il tempo di chiamare un dottore. Febbre nervosa, così aveva detto.
    Di certo la pioggia e il freddo presi non avevano giovato alla mia salute.
    Sempre parole testuali del medico, a quanto pare.
    Trovai un rimasuglio di forza per stringere la mano di Noah.
    Sì, lo avevo odiato correndo verso il Parco eppure... eppure lui era lì, lui c’era per me, non si era scollato da lì, mai.
    E questo scatenò un’infinita dolcezza nel mio cuore.
    Mi resi conto di volergli persino più bene di quanto osassi ammettere. Ma questo non cambiava di certo la nostra situazione, anzi. La rendeva dannatamente più complicata.
    Feci pressione su i gomiti tentando di alzarmi ma prontamente le mani di lui si posarono sulle mie spalle costringendomi giù. Non che ci volesse molto sforzo per tenermi a bada.
    -Il dottore ha detto che devi riposare. E noi seguiremo esattamente le raccomandazione del dottore.-
    Sorrise prima di darmi un dolce bacio sulla fronte, poi si fece improvvisamente più serio. Indovinai dal suo sguardo cosa stesse passando nella sua mente.
    Era combattutto. Non sapeva se chiedermi di nuovo cosa fosse successo o se lasciar correre.
    -Kaja... cosa...- si interruppe prima di sospirare, immagino temesse di peggiorare la situazione chiedendomi di parlarne.
    Mi strinse più forte la mano ed ammutolì.
    -Nulla di importante.- la voce rauca ruppe di nuovo il silenzio tentando di essere convincente. Gli occhi di quella voce si stupirono vedendo il nervosismo passare sul volto di Noah come un lampo.
    -Nulla di importante? Qualcosa che ti riduce in un letto non è qualcosa di non importante.- mi fissò negli occhi intensamente facendomi trasalire. Inventarsi una scusa convincente, presto, velocemente ma non troppo.
    -Mi manca mio padre.-
    Verità. Ma che scorrettezza usare la cartuccia del padre morto, Kaja.
    Mi fissò colpito prima di abbassare lo sguardo, mi carezzò nuovamente la fronte calda ed annuì.
    -...Perdonami.- i suoi occhi azzurri velati di dispiacere ed io che mi sentivo morire per aver usato una mezza verità a questo modo.
    Sì, mio padre mi mancava. Era sparito da appena un anno. Ma non era giusto usare la sua memoria come scusante. Non è giusto neanche ora che riguardo al passato.
    La febbre nervosa mi costrinse a letto per una settimana e la presenza di Noah era incredibilmente costante ogni volta che aprivo gli occhi.
    Non mi lasciò quasi mai in quei giorni ma non disse più neanche una singola parola su quanto successo.


    Edited by R e n e g a d e` - 17/1/2012, 13:58
     
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    Mi sento un pò ignorata ma lo pubblico lo stesso XD

    4. For the love of a daughter


    Iniziai a sentirmi un pò come la Terra che ruota costantemente attorno al Sole.
    Il Sole era lei, Charlotte, che brillava sempre di luce propria, così tanto da scottarsi da sola. Ed iniziai a vedere Noah come la Luna che placidamente si lascia illuminare dal Sole ricongiungendosi a lui ogni giorno in un momento quasi perfetto.
    E così la Luna brillava anche sulla Terra, nel suo cielo, che continuava a sperare di poter arrivare, un giorno, in alto quanto loro.
    Di quanto successo continuammo a non parlare mai, nè io e Noah, nè io e Charlotte.
    Non ebbi mai dubbi sul fatto che fra di loro ne avessero parlato, leggevo la colpa nei loro occhi.
    La colpa di qualcuno che prova a nascondere qualcosa con tutta la propria forza.
    Ho imparato che nascondere le cose non serve a niente, le rende solo molto più evidenti.
    Abbassavano lo sguardo, mi evitavano, fra loro doveva persino esserci un tacito accordo e iniziava a farmi male l’impossibilità di non poter parlare di quanto accaduto.
    Il fatto che le due uniche persone della mia vita a cui avrei potuto confidare il mio malessere fossero le stesse a cui per lo stesso motivo non potevo dire nulla iniziava a distruggermi.
    Avrei voluto rifugiarmi fra le braccia di qualcuno, sentire la sua calda stretta sul cuore alleggerendolo del suo peso.
    Avrei voluto perdermi qualche secondo, smettere di pensare e di sentire il dolore affiorare all'improvviso, come una fitta.
    Ricordo quei giorni come i più dolorosi della mia vita, fino ad adesso.
    Suppongo che mia madre riuscisse a vedere quanto tentassi di raccogliere i cocci di me stessa continuando a tagliarmi nel tentativo.
    Sedevamo a cena una di fronte all'altra nel più assoluto silenzio, fino a quando i miei occhi iniziavano improvvisamente ad inumidirsi.
    A metà della prima settimana dopo la guarigione fisica capii qualcosa che mi ripromisi di non scordare mai più in vita mia.
    Era una sera come le altre, sedute al tavolo, col mio dolore che spingeva in tutti gli angoli per uscire fuori e schiantarsi contro tutto e tutti.
    -Kaja, parliamone...- la voce calda di mia madre mi costrinse a spostare lo sguardo su di lei, vidi la sofferenza colpire il suo cuore facendole inumidire gli occhi.
    Soffriva perchè soffrivo io.
    Ero io a farle tutto quello? Inclinai la testa di lato confusa, e finalmente diedi una risposta a quel corpo esile difronte a me.
    -Di cosa?- era poco più di un sussurro, ma bastò per far crollare i nervi di lei.
    Vidi le sue mani tremare prima che un singulto le spezzasse il fiato con tanta violenza da farmi credere che si sarebbe spezzata lì, davanti ai miei occhi colpevoli.
    -Cosa ti è successo, Kaja? Dimmelo... ti prego, lasciati aiutare- la sua voce sommessa mi colpì con la stessa potenza di uno tsunami di acqua gelata.
    Sobbalzai e la raggiunsi dall'altro lato del tavolo, mi inginocchiai a terra prendendole le mani con dolcezza.
    Non era con lei che potevo parlare di me, del mio dolore.
    Perchè ero certa di arrecargliene uno più grande del mio con la verità.
    -Mamma io sto bene, non devi preoccuparti...- tentai inutilmente di rassicurarla.
    La vidi balzare dalla sedia con lo sconcerto negli occhi.
    -Non stai bene Kaja, credi che non veda i tuoi occhi riempirsi di lacrime? Credi che non lo veda il tuo dolore? Sono tua madre!- mi lasciò senza fiato e prima che potessi rendermene conto iniziai a piangere soffocando nel tentativo di inghiottirle tutte ancora una volta.
    Non la vidi neanche spostarsi davanti a me, inginocchiarsi per raggiungere la mia altezza, sentii solo la sua calda stretta sul mio corpo.
    Crediamo sempre che i nostri genitori non possano capirci eppure nel dolore sono gli unici a comprenderci davvero.
    Ci leggono dentro perchè siamo la loro carne, è il loro sangue a scorrerci nelle vene. Siamo una cosa sola.
    Ed era esattamente come mi sentivo io in quel momento, una cosa sola con lei.
    Due anime afflitte da un dolore differente eppure identico.
    Ci stringemmo con forza, affondammo il volto l'una nella spalla dell'altra, piangemmo con tutta la violenza che avevamo usato per nasconderci, e ci raccontammo in silenzio tutto quello che avevamo taciuto.
    Non ricordo di aver mai spiegato a mia madre, a quel tempo, perchè stessi così male, credo che mi sembrasse inutile dirglielo.
    Lo sapeva già, a modo suo.
    Mi capiva talmente affondo da rendere le parole inutili stratagemmi per riempire un silenzio sputasentenze.
    E fu lei a darmi quello di cui avevo più bisogno in assoluto.
    Affetto, una stretta nei momenti di sconforto.
    Il sostegno giusto per tirare avanti, ancora.
    Mi diede la consapevolezza che per un amore non corrisposto non si può morire.
    Dal giorno dopo la vita mi sembrò di nuovo più leggera. Ed il sorriso si affacciò di nuovo sul mio volto, inconsapevole di quanto sarebbe stata breve quell'apparizione.

    Ricordo un pomeriggio qualunque in cui la neve aveva iniziato a lambire i contorni della città assopendola con dolcezza.
    Camminavo al freddo guardandomi attorno con una serenità nuova e passeggera.
    Avevo deciso di tornare lentamente indietro, illudendomi di poter cancellare qualche episodio della mia vita.
    I miei piedi si arrestarono all'inizio del Parco in cui l'ultima volta avevo pianto le mie amare lacrime.
    Sorrisi raggiungendo il punto esatto che ricordavo dalla mia ultima visita ed alzai lo sguardo verso il cielo.
    Sentii qualcosa di freddo accarezzarmi il volto ed aprii gli occhi, una piccola foglia, venuta da chissà dove, era scivolata sulla guancia sinistra arrossata dal freddo.
    La raccolsi da terra con delicatezza portandomela davanti al volto.
    Era secca, morta, delicata e fragile esattamente come mi sentivo io.
    Era così rossa al centro da emanare energia, nel suo essere morta continuava a sprigionare forza, era viva, aveva voglia di vivere.
    Pulsava sotto il contatto della mia pelle quel rosso sangiugno, sentivo la sua voglia di vivere mentre si arrendeva al destino che la natura aveva deciso di riservarle.
    Era fuoco, puro. Ero io. Morta fuori, così debole e fragile eppure così piena di voglia di vivere da sentire il fuoco bruciare le membra, sotto la pelle.
    Così piena da sentirmi esplodere.
    -Kaja, che ci fai sotto la neve?- la voce calda di lui giunse alle mie orecchie, mi voltai e sorrisi socchiudendo gli occhi.
    Senza farglielo vedere nascosi la foglia nella tasca del giacchino e gli corsi incontro.
    Il suo sorriso mi accoglieva riscaldandomi, come ogni volta.
    -Potrei farti la stessa domanda, lo sai?- risi affiancandolo mentre riprendeva a camminare.
    In qualsiasi luogo stessimo andando, ci saremmo andati assieme.
    -Non sono io quello che si è beccato la febbre l'ultima volta- si voltò verso di me facendomi una linguaccia spiritosa.
    Il mio miglior amico, il mio nemico, lui. Noah.
    Gli diedi una botta sul braccio col gomito continuando a camminare ridendo.
    -Allora dove stavi andando?- chiesi spostando lo sguardo verso di lui.
    -Da te- il suo sguardo si fece serio per qualche secondo facendomi arrestare il passo mentre inarcavo un sopracciglio.
    -Da me?- chiesi confusa mentre il sorriso tornava ad affacciarsi sul bel volto di lui.
    -Sono passato a casa tua e tua madre mi ha detto che eri uscita, ho pensato potessi essere qui...- mi strinsi nelle spalle, mi conosceva davvero bene, ma non gli avrei mai dato la soddisfazione di compiacersi di questo.
    -E come mai mi cercavi?- fingevo indifferenza mentre il cuore mi batteva all'impazzata nel petto.
    -Avevo voglia di vedere la mia migliore amica, ti pare?- rise spettinandomi i capelli con una mano, poi mi accarezzò una guancia e si voltò per tornare a camminare lasciandomi indietro interdetta dal suo comportamento.
    -E volevo invitarti alla festa che darò la prossima settimana a casa mia, sabato alle nove, ci stai?- si voltò verso di me alzando il pollice col suo solito modo bambinesco di scherzare.
    -Scemo, certo che ci vengo- risposi raggiungendolo saltellando accanto a lui.
    Silenziosamente ci allontanammo nel parco, l'uno di fianco all'altra.
    Ed io che non riuscivo più a vedere come disgrazia l'incontro dei nostri destini.


    Edited by R e n e g a d e` - 17/1/2012, 14:00
     
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  11. lee‚
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    Tornata dalle vacanze ed eccomi qui a commentare!! *w*
    Dunque, la storia per ora continua a piacermi, e spero che presto diventi un po' più "lenta" nello svolgimento...xD
    Ho notato un errore di battitura nel III capitolo:
    CITAZIONE
    -Kaja?!- la voce di Charlotte giunse allem mie orecchie.

    alle mie.
    Una cosa, prova a controllare meglio il capitolo, perchè in alcuni punti ci sono alcuni errori di tempi verbali...>_< Per esempio qui:
    CITAZIONE
    Eppure in quei tre mesi io avevo smesso di odiare lui. Credo fosse davvero impossibile odiare Noah.

    Nel V capitolo la scena di Kaja con sua madre mi è piaciuta davvero molto! ** Complimenti per come l'hai descritta! ^^
    E anche il breve momento finale tra lei e Noah, molto bello...u_ù

    Ancora brava! ^^
    Sono curiosa di vedere come si svolgeranno le cose più avanti!! :heartblue:
     
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    Oh grazie **
    Ih, sti errori di battitura! u.u
    Comunque il "credo" non è un errore, o meglio ho voluto scriverlo al presente perchè sotto intenderebbe che lei crede ancora che fosse impossibile odiare Noah a quel tempo :3

    E dato che ci sono metto il V u,u


    5. Sascha

    La vita è una puttana.
    Le piace giocare con i cuori fragili, con le esistenze in bilico.
    Le piace soprattutto ferirci tutti, è masochista e agisce sempre quando meno te lo aspetti.
    Rilassati e qualcosa prima o poi ti investirà come un camion.
    Ero serena, lungi dall'essere felice, ma serena.
    Nulla era cambiato per la mia situazione ma nonostante tutto la negatività stava lentamente scemando lasciandomi un vago senso di rilassatezza.
    Commisi l'errore di adagiarmi in quello stato di parziale non curanza e lo pagai amaramente in uno dei modi peggiori.
    La vita aveva scelto una via tortuosa, apparentemente limpida eppure buia come l'universo per colpirmi.
    Aveva deciso di ferirmi dove non sarei riuscita presto a curarmi.
    Erano precisamente le otto e quaranta quando fissai lo sguardo sul mio riflesso allo specchio, mi rivolsi un'occhiataccia schifata per il vago tentativo di sembrare una donna e sospirai.
    Troppo tardi per cambiarsi, troppo tardi anche solo per pensarci.
    Avevo raccolto i capelli indietro in una coda ordinata e avevo racchiuso il mio corpo esile e dall'aspetto, ai miei occhi, malaticcio in un corpetto nero che Charlotte aveva deciso di regalarmi, sotto un paio di leggins stretti di pelle e ai piedi delle semplici Converse.
    Almeno quelle le avevo scelte io.
    Il trucco nero cambiava quasi la conformazione del mio volto, tutto merito del tocco esperto della mia dolce metà nelle profonde fantasie che portavo avanti.
    Sospirai ed uscii di casa senza neanche una parola rivolta verso mia madre.
    Suppongo fossi troppo nervosa anche solo per pensare a dire 'ciao', e mia madre questo lo sapeva.
    Mi strinsi nel giacchino di pelle uscendo all'aria fredda della notte che già abbracciava l'intera città nella sua oscurità a tratti squarciata da deboli luci bianche dei lampioni.
    Mi guardai attorno e vidi la chioma rossa di lei scintillare persino in quella penombra, mi avvicinai col sorriso migliore che riuscii a cacciare fuori e prima che potessi rendermene conto eravamo nella macchina con sua madre.
    Il viaggio fu una tortura per tutte e tre, o almeno suppongo fosse così anche per loro.
    Il silenzio regnava sovrano, nessuno di noi ebbe il coraggio di spezzarlo mai.
    Ci fermammo davanti alla casa di Noah e prima che avessi anche solo il tempo di respirare Charlotte mi trascinò giù dall'auto sbattendo la portiera con non curanza.
    Osservai sua madre e le accennai un sorriso salutandola con la mano.
    Nessuna risposta.
    Spostai lo sguardo sulla porta della casa mentre il cuore mi arrivava in gola.
    Ora ero certa che qualcosa non andava nella famiglia di Charlie ed ero certa che non me ne avrebbe mai parlato.
    La guardai attonita per qualche secondo fino a quando non si voltò verso di me accogliendomi con un sorriso, uno dei suoi magici sorrsi.
    Ricambiai alla meglio ed entrammo nella casa lasciandoci avvolgere dalla musica penetrante.
    C'erano molte persone, a dire il vero erano anche troppe per una come me che di socializzazione non conosceva neanche i rudimenti base.
    Trascinata da Charlotte girammo quasi tutta la casa prima di trovare Noah.
    Vidi i suoi capelli biondi ondeggiare da lontano, sentii persino la sua risata sovrastare la musica nella mia testa ed improvvisamente mi sentii sollevata.
    Si voltò verso di noi giusto in tempo per vederci arrivare, ci accolse col suo caldo sorriso e ci venne incontro.
    -Eccoti finalmente!- continuò a sorridere stringendo a sè Charlotte per poi darle un bacio sulla guancia, poi mi rivolse uno sguardo interrogativo per poi scoppiare a ridere.
    -Oddio Kaja, non ti avevo riconosciuta!- mi prese una mano e mi costrinse a fare un giro su me stessa mentre la mia faccia assumeva almeno dieci tonalità differenti di rosso.
    -E' stata un'idea di Charlie...- quasi fosse una giustificazione abbassai lo sguardo mormorando quelle parole.
    -Bhè, allora ha avuto un'ottima idea la nostra Charlotte, sei splendida - mi sorrise prima di darmi un bacio sulla fronte.
    Si voltò verso i suoi amici che non avevo mai visto.
    Il complimento di Noah mi aveva turbata. Splendida.
    Probabilmente attribuivamo un significato differente alla stessa parola.
    Nella mia mente ero lontana anni luce da quell'aggettivo che avevo attribuito sempre e solo alla persona che avevo al mio fianco.
    Abbassai nuovamente lo sguardo senza rendermi conto che le presentazioni erano già iniziate.
    Mi persi gran parte dei nomi due secondi dopo che mi erano stati detti.
    Posso dire ora di ricordarne in realtà solo uno. Dimenticarlo sarebbe probabilmente impossibile.
    Allungò la mano verso di me ed abbozzai un sorriso goffo mentre gli stringevo la mano.
    -Il mio nome è Sascha, piacere di conoscerti. Devo dire che la descrizione che Noah mi aveva fatto di te non ti rende affatto giustizia- mi sorrise mostrandomi la dentatura perfettamente bianca.
    Spalancai gli occhi leggermente stupita. Noah gli aveva parlato di me?
    -Oh, piacere di conoscerti... hm, sì anche Noah mi ha parlato di te- mentii spudoratamente sfoderando un sorriso da deficiente nel vano tentativo di imitare quelli di Charlotte.
    Lui rise scuotendo la testa.
    -Naaah, non è vero. Figurati se quel disgraziato ti ha parlato di me - mi guardò facendomi l'occhiolino accentuando il mio imbarazzo.
    -Hm, io...- provai a ribattere ma mi interruppe prima che potessi dire qualcos'altro di veramente stupido.
    -Non preoccuparti, sei stata carina a mentire- sorrise di nuovo ed io annuii.
    Forse socializzare non era tanto difficile. O almeno non come me lo ero sempre immaginato.
    Mi guardai attorno e solo in quel momento notai che i miei due unici amici erano spariti nella folla, probabilmente persi nella danza... o in altre attività.
    -Ti va di ballare?- mi voltai verso la voce e mi stupii che fosse rivolta veramente a me.
    Sorrisi ed accennai un sì per quanto fossi pienamente consapevole di essere un pezzo di legno sulla pista da ballo.
    La mano calda di lui si insinuò nella mia e tre secondi dopo i nostri corpi si confondevano fra quelli degli altri.
    I suoi occhi neri non si staccavano mai da quelli dei miei fissi su i suoi ricci color cacao.
    Era davvero un ragazzo simpatico e di bell'aspetto.
    Passai praticamente l'intera serata con lui a volteggiare sulla pista e a chiacchierare e la vita non mi sembrò mai semplice come in quel momento.
    Ma tutte le cose migliori hanno un loro epilogo. Il più delle volte anche spiacevole.
    Avevamo smesso di ballare da qualche minuto ormai, i nostri petti che si sollevavano ancora concitatamente mentre riprendevamo fiato.
    Avevo persino qualche ciocca di capelli attaccata sul volto dopo che aveva deciso di uscire dalla gabbia in cui l'avevo racchiusa.
    Guardai Sascha accanto a me e risi, non mi ero mai divertita tanto in vita mia.
    Non avevo mai neanche immaginato che ballare fosse tanto divertente ed invece mi ero ritrovata a ballare come una pazza.
    Altra cosa di cui probabilmente avrei dovuto ringraziare Noah.
    -Che ne dici se adesso ci allontaniamo da tutta questa confusione e andiamo a parlare un pò?- mi sorrise attirando di nuovo la mia attenzione.
    Ci riflettei su circa quattro secondi prima di annuire sorridente, gli presi la mano mentre me la offriva e lo seguii sul reticolo di scale.
    Conosceva la casa di Noah come le sue tasche e mi condusse proprio alla stanza di quest'ultimo.
    -Qui non verrà nessuno a disturbarci- mi disse sorridendo ammiccante.
    Annuii oltrepassando la soglia di quella stanza ed iniziai a guardarmi attorno incuriosita.
    Inutile dire che non ero mai stata nella stanza di un ragazzo prima di allora.
    A quel tempo mi sembrò quasi un universo parallelo, aldilà delle mie immaginazioni.
    Presa come ero dallo studio di tutti i particolari che abitavano quella stanza non mi accorsi che Sascha alle mie spalle aveva già provveduto a chiudere a chiave la porta creando un confine netto fra noi e l'esterno.
    Le sue mani mi sfiorarono i fianchi ed il suo fiato si perse fra i miei capelli mentre mi attirava a sè.
    Voltai la testa verso di lui per quanto possibile prima di allontanarmi dalle sue braccia che iniziavano a ricordarmi quelle di un polipo.
    -Ah hem, Sascha io credo che tu abbia capito male... io credevo che volessi solo conoscermi meglio... non...- stupida Kaja, vero?
    Si avventò su di me come una furia.
    Mi prese un polso con violenza sbattendomi al muro con tanta forza da farmi perdere per qualche secondo la percezione della realtà.
    -Fai tutta la santarellina adesso, eh? Ti sei strusciata a me tutta la notte ed ora fai pure finta che non è questo quello che vuoi?- la sua voce ridotta ad un ringhio.
    Chi era quello sconosciuto che si accaniva sul mio corpo con tanta violenza?
    Con chi diavolo avevo ballato per tutta la notte?
    Possibile che due persone distinte abitassero nello stesso corpo?
    Mi dimenai cercando di sfuggirgli mentre lui mi metteva sempre più all'angolo usando di volta in volta più forza.
    Era evidente che non avrei mai potuto farcela contro di lui a livello fisico.
    Probabilmente avrei dovuto ingannarlo usando l'astuzia per quanto mi trovassi a corto di fantasia.
    -Va bene... sì... hai ragione. Volevo solo fare la preziosa... ma così mi fai male... ti prego Sascha...- lo guardai tentando di fingere che fossi sincera e chissà come quel folle ci credette.
    Lasciò andare la presa e mi indicò la strada per raggiungere il letto.
    Lo oltrepassai dirigendomi verso il materasso deviando all'ultimo istante la mia direzione.
    Corsi contro la porta e tentai di aprirla imprecando contro me stessa.
    Non lo vidi scattare dietro di me e colpirmi alla testa fino a quando sentii un dolore lancinante invadermi.
    Mi ritrovai accasciata a terra, confusa, mentre le urla del ragazzo mi ferivano le orecchie.
    Ricordo poco di quanto successe dopo.
    Sentivo il volto bagnato probabilmente da lacrime che versavo senza rendermene conto.
    Ricordo le mani di lui che mi prendevano in braccio trascinandomi a letto.
    Ricordo la morbida consistenza del materasso ed il suo corpo sul mio.
    Quelle stramaledette mani che mi percorrevano il corpo senza che potessi farci niente.
    Le sue labbra che cercavano le mie mentre tentavo di rigettarlo all'indietro.
    In un momento come quello un masso di 180 tonnellate mi sarebbe parso molto più leggero.
    Mi aveva slacciato già una parte del bustino e dei leggins quando trovai la forza di ribellarmi ancora.
    Con molta fortuna riuscii ad assestargli un calcio nella zona inguinale.
    Lo sentii imprecare mentre sfuggivo da sotto le sue mani.
    Impugnai al volo un'abat-jour puntandogliela alla testa.
    Senza troppe cerimonie gliela spaccai sulla testa stordendolo per qualche secondo.
    Giusto il tempo di recuperare la chiave da una tasca dei suoi pantaloni.
    Con le mani tremanti riuscii ad inforcare la fessura solo dopo molti tentativi.
    Spalancai la porta ed in quel momento si azzerò tutto.
    Agii senza pensare, senza vedere veramente.
    Corsi verso chissà quale meta fino a quando non mi trovai davanti una porta, la aprii e mi ci gettai dentro, senza neanche guardarmi attorno la chiusi alle mie spalle con la chiave appesa nella serratura.
    A quel punto mi lasciai cadere a terra e continuai a piangere di delusione e rabbia verso quel bastardo che aveva provato a portarmi via una delle cose più importanti che mi restavano nella vita.
    Solo qualche minuto dopo guardandomi attorno mi resi conto di trovarmi all'interno di un bagno.
    Scattai verso la doccia e mi ci infilai sotto aprendo l'acqua.
    Non volevo più sentire le risate della gente, la musica assordante, volevo il silenzio, volevo sentirmi al sicuro.
    Volevo mio padre.
    Continuai a singhiozzare senza controllo mentre l'acqua gelata tentava di lavarmi di dosso il calore delle mani di lui, mentre tentava di cancellare dalla mia mente le immagini di quel mostro.
    Nel frattempo, senza che io sapessi nulla, Noah e Charlotte mi stavano cercando ovunque fra la gente chiedendo a tutti se mi avessero vista.
    Girarono l'intera casa fino a che trovarono Sascha, anche lui intento a cercarmi.
    -Dov'è Kaja? Non era con te?-
    -Non lo so... è corsa via, credo abbia visto qualcosa o qualcuno-
    Questo sommariamente doveva essere il discorso avvenuto fra i due prima che si separassero nuovamente.
    Sascha con l'intenzione di trovarmi prima di loro.
    Non so come fecero ma sentii all'improvviso qualcuno bussare alla porta del bagno.
    Sobbalzai nel terrore di sentire la voce dell'altro ragazzo minacciarmi.
    Ed invece fu la voce di Noah ad accogliermi, calda e dolce come sempre.
    Anche se suonava preoccupato.
    -Kaja, sei lì dentro? Sono Noah...-
    Mi presi le gambe fra le braccia e affondai il volto fra le gambe singhiozzando.
    No, non volevo vedere nessuno, neanche lui.
    Non volevo che qualcuno sapesse di quanto successo qualche attimo prima.
    E non considerai minimamente che potesse spaventarli una mia non risposta.
    Sentii improvvisamente dei rumori provenire oltre la porta ed alzando lo sguardo mi resi conto che questa stava cedendo sotto i colpi di qualcosa.
    Quando si spalancò rivelò la figura di Noah, completamente rosso in viso per lo sforzo.
    Aveva sfondato la porta a spallate con l'aiuto di qualche altro ragazzo pur di raggiungermi.
    Mi sentii riempire di gratitudine e di senso di colpa il cuore.
    I suoi occhi si fissarono nei miei, non ci fu bisogno di dire nulla.
    Mi corse incontro gettandosi sotto l'acqua per accogliermi fra le sue braccia.
    Restammo così forse per qualche secondo, o qualche minuto.
    Mi sembrò l'abbraccio più tenero del mondo, l'unico dentro il quale potevo sentirmi al sicuro come a casa.
    Piansi sulla sua spalla raccontandogli con voce tremante quanto successo.
    Lo sentivo fremere, da quella posizione potevo sentire il battito del suo cuore che accellerava.
    Alla fine del racconto mi lasciò andare guardandomi negli occhi.
    -Non succederà mai più- "ringhiò" a denti stretti prima di darmi un bacio sulla fronte.
    Si alzò spegnendo l'acqua che aveva continuato a scorrere su di noi.
    -Charlie, pensa tu a lei...- le sussurrò accarezzandole una guancia.
    Mi corse incontro stringendomi a se come non aveva mai fatto.
    In quel momento sentii il suo affetto per me riempirmi il cuore.
    Mi alzai tremante e rovinai il momento più magico della mia vita.
    Uscii dal suo abbraccio per correre dietro a Noah, lo raggiunsi giusto in tempo per vederlo mentre si accaniva sopra al corpo di un ragazzo che riconobbi come Sascha.
    Quel verme era steso a terra e a stento si ribellava ai colpi di Noah.
    Indemoniato.
    Non credo di averlo mai più rivisto in quello stato.
    Mossa da chissà cosa mi gettai su di lui da dietro.
    Vidi il volto rosso di sangue di Sascha implorare pietà.
    -Basta Noah! Finirai con l'ucciderlo!- urlai tentando di tirarlo a me mentre lui continuava ad assestare colpi al volto di quello che fino a poco prima era stato il suo migliore amico.
    -E' quello che si meriterebbe!- mi urlò quasi contro inarcando la schiena per liberarsi della mia presa.
    -Noah!- la voce di Charlotte sovrastò persino la musica che aveva continuato a pulsare nel sottofondo e solo a quel punto lui si voltò verso di lei e si fermò spalancando la bocca quasi stupito di vederla lì.
    Lo lasciai andare e mi abbandonai a terra tremante.
    Si voltò verso di me e mi prese il volto fra le mani ricoperte di sangue.
    -Perdonami- i suoi occhi si fissarono nei miei facendomi sobbalzare.
    Annuii flebilmente e tutto quello che successe dopo è un pallido ricordo soffuso.
    L'arrivo dell'ambulanza per Sascha, la Polizia che ci interrogò e rinchiuse Noah in prigione per una notte, il tempo impiegato dai genitori per pagargli la cauzione, mia madre che mi stringeva fra le sue braccia prima di riportarmi a casa.
    Quella notte non ebbi la forza di fare più nulla.
    Lo shock continuava a trattenermi in un limbo di terrore, rabbia e dolore.
    Ricordo le mani di mia madre che mi accarezzavano, che mi mettevano il pigiama dopo avermi asciugata con cura e le calde coperte che mi ricoprivano fino alla testa.
    Poco dopo essere stata messa a letto si fece tutto buio e sprofondai fra le braccia di Morfeo sperando che quella serata fosse stata solo un orribile incubo.


    Edited by R e n e g a d e` - 17/1/2012, 14:00
     
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  13. lee‚
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    Ooooh, bene che hai aggiornato! XD
    Letto il capitolo, prima di passare al commento faccio alcune notazioni.
    CITAZIONE
    Il trucco nero cambiava quasi la conformazione del mio volto, tutto merito del tocco esperto della mia dolce metà nelle profonde fantasie che portavo avanti.

    Questa frase non l'ho capita. Cosa intende con "merito del tocco esperto della mia dolce metà"? E con "fantasie che portavo avanti"? .__.
    CITAZIONE
    a dire il vero erano anche troppe per una come mei che di

    me.
    CITAZIONE
    che avevo attribuito sempre e solo alla persona che avevo al fianco.

    Io qui inserirei piuttosto "al mio fianco". ^^
    CITAZIONE
    Annuii flebilmente e tutto quello che successo dopo è un pallido ricordo soffuso.

    successe.

    Dunque, capitolo molto bello, anche se triste.
    Mi spiace che Kaja abbia avuto tutta questa sfortuna...>_< L'unica cosa buona è che è riuscita a scappare in tempo.
    Mi piace sempre di più il rapporto tra lei e Noah...mi piace come lui riesce ad essere con lei nei momenti del bisogno...**
    Ah già, ho notato che utilizzi parecchi nomi strani, Noah, Kaja, Sascha...ti piacciono i nomi stranieri? xD
     
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    Uh, correggo anche questi errori domani! XD
    Comunque intendo che l'ha aiutata Charlotte... la sua dolce metà nelle sue fantasie perchè nella realtà non lo è :3

    Grazie **
    Eh sì, brutta storia >.<
    Io adoro Noah <3 Lo amo! XD
    Comunque, essendo la storia ambientata in Colonia, Germania, ho usato tutti nomi tedeschi :3
     
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    6. Fresh Air

    Cosa ne fosse stato realmente di me non lo sapevo.
    Continuavo a vedere il mio riflesso nello specchio e a non vedermici dentro. Occhi bui, profondi come pozzi, mi osservavano privi di ogni luce.
    Io, lungi dall'aver subito il torto completo, non mi conoscevo più. Non osai mai immaginare che fine Kaja avrebbe fatto dopo una tale violenza.
    Per ora se ne stava chiusa nel profondo senza accenno di vera vita.
    Fissai quegli occhi spenti nello specchio tirando indietro i capelli mentre le mani di lui continuavano a viaggiarmi addosso, invisibili.
    Vidi quegli occhi bagnarsi prima di sospirare. Due giorni.
    Erano passati due giorni e tutto era ancora talmente vivo da farmi mancare il fiato.
    La vibrazione del telefono attirò la mia attenzione, voltai lo sguardo e lo recuperai dal mobile lì affianco.
    -Pronto?- la voce spenta riempì il silenzio mentre gli occhi tornavano sul volto smunto.
    -Sono Noah, come stai?- la sua voce soffusa mi accolse come un caldo abbraccio dipingendomi sul volto un vago sorriso.
    Sospirai spostando lo sguardo sui piedi.
    -Meglio- mentii storcendo il naso, sospirò anche lui all'altro capo del telefono.
    -Perdonami- il suo sussurro che si spezzava a causa del senso di colpa incomprensibile che lo attanagliava.
    -Noah, non ho nulla da perdonarti- aggrottai le sopracciglia spostandomi da davanti allo specchio finendo col dargli persino le spalle, quasi come a rifiutarlo.
    -La festa... lui era lì per colpa mia. Avrei dovuto proteggerti...- triste, di una tristezza scura come una notte senza stelle.
    -Noah...- sospirai grattandomi la fronte sconfortata - Non potevi saperlo, ok? Non farti venire la sindrome da Clark Kent, ok?- mi abbandonai sul letto fissando gli occhi sul muro.
    La sua risata mi fece sorridere -Ok...senti, che fai questo week-end? Niente feste, promesso.-
    Aggrottai di nuovo le sopracciglia confusa -Credo nulla... cosa hai in mente?-
    -Lo vedrai!- rise ancora, sentii lo schiocco delle labbra sul telefono, il suo solito modo di mandarmi un bacio a distanza, qualche secondo dopo lo sentii riattaccare senza darmi la possibilità di ribattere.
    Sapeva che mi sarei opposta e voleva impedirmi di farlo fino a Sabato. Mi conosceva fin troppo bene.
    Scossi la testa sorridendo ed abbandonai il cellulare al mio fianco riperdendomi nel bianco assordante della ricerca di me stessa.

    Sabato mattina, ore 7.30
    Un esplosione di vestiti riversata per la stanza, la valigia, perlopiù vuota, a terra e la disperazione dipinta sul volto.
    Il dramma di dover partire senza conoscere la destinazione di arrivo.
    Felpe e magliette o t-shirt e pantaloncini? Costumi?
    Per quanto potesse essere freddo la possibilità di una Spa non potevo gettarla via.
    Sabato mattina, ore 8.00
    Il campanello trilla al piano di sotto, il cuore in gola.
    Panico.
    Mi guardai attorno confusa a un passo da gettare panni a casaccio nella valigia.
    Il rumore dei suoi passi e il cuore che minacciava di esplodere.
    Poi la sua voce soffusa mi arrivò alle orecchie ed un sorriso involontario si allargò sul mio volto.
    Noah era decisamente il mio prozac.
    La porta si spalancò su quella che un tempo era una normalissima stanza, panni ormai riversati ovunque anche in angoli a me sconosciuti.
    -Ma che... è esplosa una bomba atomica qua dentro?- rise e mi guardò divertito.
    "Beato lui che si diverte",pensai.
    Mi voltai verso di lui con un sorriso sarcastico: -Come faccio a fare una valigia se non so dove andiamo?- sbottai incrociando le braccia.
    -Ma dai... Kaja staremo via solo due giorni! Prendi qualcosa a caso... niente serate di gala- si grattò la testa e continuò a ridere della mia disperazione.
    Sospirai ed infilai vestiti a caso nella valigia, la chiusi e voltandomi verso di lui tirai fuori la lingua.
    -Ti odio- gli diedi una spinta leggera sulla spalla per poi ridere scuotendo la testa.
    -Anche io- rispose lui continuando a ridere col suo piacevole modo infantile.
    Scuotendo la testa lo seguii giù per le scale rifiutandomi di affidargli la mia valigia nonstante la sua insistenza di voler essere un galantuomo.
    Salutai mia madre con un dolce abbraccio e raggiunsi il mio accompagnatore fuori dalla porta.
    Mi affiancai a lui e fissai la strada completamente vuota interdetta.
    -Scusa Noah... ma con cosa ci andiamo nel posto che non so?- chiesi alzando un sopracciglio mentre gli rivolgevo uno sguardo di sottecchi.
    Il suo sorriso emblematico si stagliava lungo il volto imperturbabile.
    -Con l'autobus, sciocchina! Come credevi di andarci? A quanto mi risulta non ho la patente... e neanche tu- si voltò verso di me col suo sguardo scherzosamente commiserevole.
    Lo odiavo quando mi faceva sentire una povera scema.
    Sospirai e mi arresi all'idea di affidargli la valigia per il tratto che ci separava dalla fermata dell'autobus.
    Il reiligioso silenzio fra noi era qualcosa di nuovo per me, non capivo l'aria taciturna di lui e non nascondo che mi intimoriva.
    Non osai parlare, continuai a seguirlo quasi terrorizzata all'idea che quel viaggio sarebbe passato nel completo silenzio.
    Odiavo i tempi morti, i silenzi. A dire il vero li odio tutt'ora.
    Mi mettono a disagio, mi fanno sentire inadeguata, una sensazione che con lui non avevo mai provato e che speravo di non dover provare ancora.
    Ci fermammo alla panchina della fermata sedendoci entrambi, uno affianco all'altra.
    Eppure continuavo a sentire la distanza fra noi, opprimente sul cuore.
    -Che hai? Sei silenziosa- finalmente la sua voce invase il silenzio spezzandolo nettamente.
    Mi voltai e gli regalai un sorriso, il meglio che riuscivo a cacciare fuori.
    -Niente, credevo non avessi voglia di parlare- alzai le spalle spostando lo sguardo sul grigio asfalto.
    Lo sentii muoversi al mio fianco ed improvvisamente mi ritrovai avvolta completamente dalle sue braccia.
    Prima che riuscissi a rendermene conto affondai il volto sul suo petto e scoppiai a piangere come una stupida bambina.
    Mi accarezzò la testa con delicatezza prima di darmi un dolce bacio sui capelli.
    -Scusami, io... non so cosa mi sia preso- balbettai alzando il volto arrossato dal pianto dal suo petto.
    Mi asciugai gli occhi frettolosamente mentre lui mi sorrideva.
    -No, sapevo che ne avevi bisogno. E' per questo che ce ne andiamo da qui. Il tuo cervello ha bisogno di un black-out- ridacchiò facendomi una leggera schicchera su una tempia.
    Si alzò poi improvvisamente facendomi segno di imitarlo e solo a quel punto mi resi conto che un autobus stava per fermarsi davanti a noi.
    Non ebbi l'astuzia di controllare l'eventuale indicazione sulla nostra meta e salii dietro di lui. In ogni caso ora sapevo che fra me e Noah non era cambiato assolutamente nulla.
    Il viaggio durò all'incirca un'ora in cui parlammo veramente poco.
    Più che altro fui io ad addormentarmi appoggiata su una sua spalla troncando in due le possibilità di comunicare.
    Fu lui a svegliarmi con una carezza sul volto.
    Aprii gli occhi sentendomi ancora più stanca di quando li avevo chiusi e lo seguii trovandomi di fronte un paesaggio sconosciuto quanto affascinante.
    Doveva essere un paesino in aperta campagna.
    Tutto quello che riuscivo a vedere oltre poche case era verde, ovunque.
    Una sensazione di libertà mi invase.
    Ed il fatto che fossimo lontani da Köln non faceva che incrementare questa sensazione.
    Sorrisi e guardai Noah con gli occhi raggianti, continuavo a sentirmi una bambina ma allora mi stava più bene che mai.
    -Wow, da dove esce questo posto?- chiesi guardandomi attorno.
    -Sapevo ti sarebbe piaciuto, con mio padre venivamo sempre qui in campeggio- si spiegò lui voltandosi verso di me sorridente.
    Non ebbi alcuna difficoltà ad immaginarlo da piccolo col caschetto biondo, degno del titolo di giovane marmotta.
    Chiusi gli occhi inspirando profondamente.
    -Profuma di libertà.-
    Un suo braccio mi cinse la spalla per attirarmi a sè, mi ritrovai a guardare nei suoi occhi e scomparvero tutte le mie angosce, tutte le mie paure, spazzate via come sabbia al vento.
    -Andiamo- sorrisi imbarazzata tornando con la testa a terra e lo seguii continuando a guardarmi attorno fra il verde che ci circondava. Non mi ero mai trovata in un posto così tanto silenzioso e pacifico.
    Ci ritrovammo presto a camminare in un paesino che iniziai a dubitare persino che fosse riportato su una carta geografica, e ci arrestammo davanti ad una villetta rosata dalla quale non proveniva alcun rumore.
    -E' qui?- chiesi voltandomi verso di lui.
    -Non esattamente, qui ci dormiremo soltanto- sghignazzò guardando la mia espressione accigliata.
    Mi chiedevo quanti altri "segreti" avesse in serbo per me.
    Sospirai rumorosamente, dandogli anche un motivo in più per ridere sotto i baffi, e lo seguii all'ingresso. Solo quando vidi la reception capii che si trattava di una Pensione e non di una casa privata.
    Mi guardai attorno con la bocca spalancata, quell'ingresso era immenso, ospitava molti divanetti con tavolini forniti di riviste. Alla fine della stanza, nell'ala sinistra, vi era anche un mini-bar per aperitivi e thè.
    Non avevo mai visto una Hall più grande e bella di quella. Aveva uno stile particolare e incredibilmente simile al barocco veneziano.
    -Kaja?- la voce di Noah mi raggiunse di nuovo, lo cercai per un'istante, persa, prima di trovarlo alla reception cone le chiavi delle nostre stanze pronte in mano.
    Avvicinandomi lo guarda interrogativamente:
    -Perché questo posto?-
    -Dovremo pur dormire da qualche parte stanotte, no?- sorrise prendendomi la mano conducendomi nell'ascensore.
    -Ah no... io prendo le scale!- indietreggiai davanti a quella trappola per topi.
    -Cosa?!? Ma Kaja sono otto piani di scale! Non vorrai sul serio farteli a piedi - mi guardò stupito prima di scoppiare a ridere -Oh mio Dio! Non dirmi che hai paura!-
    Abbassai lo sguardo avvertendo la sensazione di rossore sulle guance.
    -Non ho paura... preferisco solo le scale...- non feci in tempo a finire la frase che mi ritrovai stretta a lui che mi accarezzava la testa ridendo:-Ah... sei troppo tenera!- alzai lo sguardo indecisa su come prendere quella frase e tre secondi dopo mi ritrovai dentro a quell'affare metallico ancora fra le sue braccia, con un cameriere pronto a 'scortarci' alle nostre stanze.
    Per quanto apprezzassi il suo volermi aiutare nel combattere le mie paure in quel momento riuscivo solo a pensare a vari alternativi modi per ucciderlo.
    Essere poi in tre in quel minuscolo spazio, stretta contro di lui, non aiutava certo la mia respirazione.
    Mi sembrava di aver inghiottito un uovo di struzzo intero bloccatosi poi nel bel mezzo della mia gola.
    Ingoiai sonoramente tentando di respirare naturalmente mentre controllavo in modo ossessivo il contatore dei piani che ci lasciavamo sotto ai piedi.
    Quando il 'dlin-dlon' dell'ascensore ci avvertì dell'arrivo al nostro piano dire che mi scaraventai fuori non rende abbastanza l'idea.
    -Non farmi mai più una cosa del genere!- mi voltai verso di lui con sguardo assassino ma tanto ad accogliermi c'era sempre quel suo stupido insopportabile sorriso.
    Sospirai prima di dargliela vinta e sorridere a mia volta.
    Senza dire nulla proseguì dietro il cameriere fino ad arrivare alle nostre stanze, la 211 per me e la 212 per lui.
    Presi le mie chiavi sorridendo ed aprii la porta azzardando qualche passo dentro ed esattamente come era successo all'entrata mi imbambolai con la bocca spalancata davanti allo spettacolo che mi trovai di fronte.
    Come la hall anche quella stanza aveva uno stile di arredamento molto simile al barocco ma quello che mi colpì in assoluto fu la sua grandezza.
    Sembrava un mini appartamento ed era accessoriato con qualsiasi cosa.
    Ma quello che saltava subito all'occhio era il letto a baldacchino a due piazze.
    Come avrebbe fatto una bambina di tre anni mi ci tuffai sopra sentendomi subito affondare nel materasso come immaginavo avrei potuto fare in una nuvola.
    In quel momento pensai che fosse un gigantesco spreco usare quella stanza solo per dormire.
    Mi tirai su a sedere guardandomi attorno con tanto di broncio.
    -Allora, ti piace?- sussultai prima di notare Noah appoggiato alla porta della mia stanza.
    Sorrisi scendendo dal letto:-E' meravigliosa... ma non costerà un pò troppo?-
    Si accigliò per qualche istante.
    -Non è un tuo problema, questo..-
    Aggrottai le sopracciglia guardandolo confusa quando improvvisamente il suo viso si illuminò di una nuova consapevolezza.
    -Non crederai mica che pagherai qualcosa in questo viaggio?!-
    Mi accigliai per qualche istante prima di realizzare quello che mi stava dicendo: -Cosa?! Certo che sì! Credevo che il viaggio lo pagassimo a metà!-
    Lui spalancò gli occhi prima di rispondermi col suo tono che non lasciava spazio a proteste: -Assolutamente no. Sei mia ospite, non ti farò sborsare neanche un centesimo, scordatelo!-
    Credo che il mio viso fosse passato dal bianco al rosso acceso dal calore che sentivo invadere il mio corpo mentre una punta di 'rabbia' spuntava fuori: -Ma non se ne parla neanche! Se avessi anche solo immaginato che era tutto a tue spese non sarei mai venuta!-
    Lui mi fissò per qualche istante senza dire niente, immagino stesse tentando di recuperare la calma.
    Infine sospirò e con un filo di voce mi chiese: -Perché? Perché non posso regalarti questo week-end?-
    Non aspettai neanche un secondo prima di rispondere.
    -Perché è troppo! E non mi merito tutte queste premure, davvero... posso pagarmi..- non feci in tempo a finire la frase che lui mi interruppe posando un dito sulle mie labbra.
    -No - il suo sguardo era talmente intenso che mi mancò il fiato - Non dire stupidaggini, tu meriti tutte queste premure ed anche molto altro, mettitelo in testa. Ed io voglio, anzi, pretendo di offrirti questa mini vacanza.-
    Abbassai lo sguardo a terra confusa prima di sussurrare: -Ma perché?-
    Chiuse gli occhi lasciando andare il braccio con cui mi aveva imposto di tacere.
    Vidi il suo volto mutare lentamente fino a diventare una maschera di sofferenza.
    -Io...-
    La verità mi colpì in faccia come un getto d'acqua gelida, mentre stava per parlare lo bloccai stringendogli un braccio con la mano mentre sentivo le lacrime bagnarmi le guance.
    -Tu lo stai facendo per quello che è successo a casa tua?-
    Abbassò lo sguardo a terra senza avere il coraggio di rispondere alla mia domanda.
    -Noah, rispondimi!- gli urlai in faccia stringendo con più forza il suo braccio.
    -Volevo solo rimediare... lo sai io...-
    -Ti ho già detto che non devi sentirti in colpa, perché tu non c'entri niente!-
    Inseguii il suo sguardo sfuggente cercando la conferma che il mio messaggio gli fosse arrivato forte e chiaro e poi, improvvisamente, fu lui ad esplodere.
    -Sì che è colpa mia! Te l'ho presentato io! Speravo potesse essere la persona giusta per te ed invece ti ho spinta fra le braccia di... di un bastardo e...- non lo lasciai finire di parlare, la mia mano si mosse veloce, quasi senza che me ne accorgessi, finendo per picchiare con forza la guancia di lui.
    -Finiscila- sussurrai fra i denti mentre iniziavo a tremare scossa da i fremiti del pianto.
    Lui, stordito dal mio gesto inaspettato, si portò una mano alla guancia arrossata prima di scattare in avanti per stringermi con forza a sé.
    -Scusami, non voglio litigare con te... voglio solo farti stare bene per due stupidi giorni, ok?-
    Annuii cacciando indietro le lacrime stringendomi a lui con tenerezza:
    -No scusami tu... non avrei dovuto...-
    Uscii dolcemente dal suo abbraccio e posai le labbra sulla guancia che poco prima avevo colpito.
    -Non importa...-
    Mi sorrise con la solita dolcezza e a quel punto crollai anche io.
    -E allora... suppongo che ti lascerò pagare questa vacanza... ma solo a patto che mi farai ricambiare!-
    -Affare fatto- disse lasciandomi andare prima di battere le mani una volta pensieroso.
    -Beh, in ogni caso non abbiamo tempo per starcene in questa stanza a bighellonare, ci sono molti posti che voglio mostrarti ed è già passata l'ora di pranzo!-
    Aggrottai le sopracciglia confusa: -Ma... dove hai intenzione di portarmi? E poi... io ho fame...- feci labruccio tentando di intenerirlo.
    -Mangeremo lungo la strada, ora però andiamo- i suoi occhi si accesero improvvisamente, sembrava decisamente felice di portarmi in giro per la cittadina.
    -Ok- risposi sospirando chiudendomi la porta alle spalle.
    -Andiamo allora... però stavolta usiamo le scale!- rise prendendomi la mano quasi avesse paura di perdermi, neanche fossi una bambina piccola, e mi trascinò letteralmente fuori dall'hotel.
    -Non mi dirai dove andiamo vero?- chiesi alzando lo sguardo su di lui con aria sconfitta.
    -...Stai diventando perspicace!- disse ridendo, poi fissando lo sguardo sul cielo aggiunse -Smettila di pensare e goditi il paesaggio.-
    Annuii sorridendo iniziando a guardarmi attorno, respirai a fondo l'aria e lasciai che ogni pensiero scivolasse via sentendomi finalmente libera
    Passammo il resto della giornata in giro per quella cittadina caratteristica.
    Rientrammo all'hotel solo verso ora di cena, le mie gambe imploravano pietà così come i piedi.
    Mi sembrava uno sforzo estremo persino tenere gli occhi aperti.
    -Te lo avevo detto che ti aspettava una giornata dura- disse lui che sembrava ancora fresco come una rosa.
    -Wuff...non credevo mi avresti fatto camminare tanto-, nel dirlo aprii la porta della mia stanza e mi gettai, letteralmente, sul letto abbandonandomi alla morbidezza del materasso.
    Lo sentii ridere sull'arco della porta ed alzai lo sguardo su di lui tirandomi su col busto poggiando sui gomiti: -Bèh, che fai lì? Non entri?- alzai un sopracciglio e senza aspettare una risposta mi stesi nuovamente giù chiudendo gli occhi.
    Percepii il lento avanzare dei suoi passi, sembrava indeciso sul da farsi ma alla fine si sedette in fondo al letto.
    Quando aprii gli occhi lo sorpresi a fissarmi con aria penseriosa e leggermente impaurita.
    -Che hai?- chiesi alzandomi a sedere.
    -Eh? No, niente... pensavo- la sua risposta evasiva mi lasciò perplessa e quando deviò lo sguardo evitando il mio capii che qualcosa lo turbava profondamente.
    -A cosa pensavi?- chiesi tentando di manterene un tono neutrale.
    -Nulla di importante... te lo spiego domani.-
    Lo raggiunsi al bordo del letto e gli misi una mano sulla spalla: -E' evidente che qualsiasi cosa sia è importante se ti turba così tanto- scrollò le spalle e mi sembrò che volesse liberarsi del mio contatto così lasciai scivolare il braccio al mio fianco.
    Non ricevetti risposta a quelle parole e sentii gli occhi bruciare di lacrime.
    Io mi fidavo di lui, gli avevo detto praticamente tutto della mia vita e lui se ne stava lì impalato chiuso nel suo stupido silenzio.
    Mi sentivo ferita dal fatto che non credesse di potermi parlare tranquillamente di qualsiasi cosa.
    Ma non dissi niente, allungai nuovamente la mano per prendere la sua.
    Ci volle tutto il mio impegno per ricacciare indietro le lacrime.
    Fissai lo sguardo a terra concentrandomi sulla trama del tappeto fino a quando lui si girò verso di me abbozzando un sorriso.
    -Ne parleremo domani, ok? Questa giornata è dedicata esclusivamente a te.-
    Mi costrinsi a sorridere ed annuendo aggiunsi un "ok".
    La mia preoccupazione non era affatto svanita.
    Mi lasciò la mano e, inaspettatamente, iniziò a farmi il solletico sulla pancia fino a costringermi stesa sul letto.
    -No, basta, ti prego!- quasi non riuscivo a respirare dalle risate.
    Mi liberai svincolandomi come una biscia e recuperando un cuscino iniziai a difendermi con quello.
    In breve la situazione degenerò in una lotta all'ultimo sangue di cuscinate.
    Fummo presto sfiniti ed abbandonammo entrambi i cuscini.
    Risi abbandonandomi sul letto accanto a lui, mi voltai e gli stampai un bacio sulla guancia.
    -Grazie- sussurrai.
    Mi guardò interdetto per poi alzarsi di scatto.
    -Beh, è ora di dormire adesso. Domani ci aspetta una bella scarpinata!-
    -Ancora?- chiesi alzandomi a sedere.
    Mi sorrise e prima che potessi fargli delle domande uscì dalla stanza.
    -Buonanotte Kaja- mi disse sull'uscio della porta prima di chiuderla.
    -...Buonanotte Noah...- sussurrai pensierosa.
    Non molto dopo mi ritrovai felicemente nel mondo dei sogni.


    Edited by R e n e g a d e` - 17/1/2012, 14:01
     
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