Live for Die

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  1. simplelover¹
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    Live for Die



    _autore: simplelover¹
    _genere: Drammatica, Romantico, Splatter
    _rating: Rosso
    _tipologia: one-shot
    _breve descrizione: Kalya ha 18 anni. A 11 ha subito una violenza sessuale da parte del suo insegnante della scuola elementare. Tutto sembra essersi risolto; l'insegnante Erick è in carcere, Kalya ha recuperato il rapporto con la madre e la famiglia, si rifanno vive le prime amiche...fino a quando, il giorno degli esiti degli esami di maturità, qualcosa si spezza; Erick è tornato, è uscito di prigione; ma la cosa peggiore è che Kalya è innamorata di lui.
    _note: Questa è stata la mia prima one shot, scritta a 14 anni. L'ho ritrovata sul mio computer e l'ho corretta nelle imprecisioni grammaticali. Per il resto, l'ho lasciata così com'era. Inizio dalle origini. Spero vi piaccia.
    Preso dalla one shot:
    «Non sapevo perchè mia madre mi fissava. Mi scrutava, con quegli occhi di ghiaccio. La vita per me era stata una lotta, una continua lotta con il tempo che mi portava via i miei affetti. E ora, andava a rovine tutto.»



    -Signorina Darfei! La prego, si accomodi.
    Lo studio di mio padre era sempre accogliente. Mi sentivo bene, protetta da un calore indescrivibile. Mi sentivo come se mio padre mi avesse accolto sotto le sue ali protettrici, mi avesse abbracciata e mi avesse detto: -Tranquilla, qui ci sono io.
    L'assistente di papà, Dario, era un piccoletto che correva come un fulmine. Tre secondi dopo che Dario era scomparso, mio padre mi sorrise dalla porta. Dietro di lui, però, c'era mia madre. Che mi guardava, in evidente disappunto. Non sapevo perchè mia madre mi fissava. Mi scrutava, con quegli occhi di ghiaccio. La vita per me era stata una lotta, una continua lotta con il tempo che mi portava via i miei affetti. E ora, andava a rovine tutto.

    Mi porse una lettera. La presi, senza pensare. Non ho mai pensato, in quella giornata. Effettivamente non l'ho fatto. Mai. Nemmeno per un secondo.

    L'ho letta. Freneticamente, quasi volessi arrivare alla fine per poi sbottare in un: -È uno scherzo?
    Ma no, non era uno scherzo. In quella lettera mi si comunicava che Erick Miller, il mio vecchio insegnante delle elementari, 20 anni più di me, era uscito di prigione. E voleva vedermi.

    Ero sola. Ero dannatamente sola, a stringermi nel mio cappotto. Mentre andavo a casa di Erick. Sì, l'uomo che mi aveva violentata, che mi aveva fatto passare gli anni più brutti della mia vita. Proprio lui. Ma la verità era che, nonostante mi avesse fatto del male, troppo per dimenticarlo, lo amavo. Continuavo ad amarlo con tutto il mio cuore. Non avevo mai provato nulla del genere. Arrivai alla porta. Suonai il campanello. E poi entrai.

    Lui era lì. Non ha parlato. Non ha detto niente. Sono stata io: «Erick ti amo.» Tre parole, sono bastate a farmi volare via ogni indumento. Ero lì, nuda e sola. Aveva l'uomo che amavo, ma non mi sentivo in compagnia. Il mio era un amore malato. Lo avevo sempre sospettato, ma ora ne avevo la certezza.

    Mentre lui si avventava sul mio corpo con una violenza che non avrei creduto possibile, io soffrivo e pensavo in silenzio. Non mi muovevo, non percepivo piacere; solo un immenso dolore. Che non avrei potuto colmare. Mi ero abbandonata, avevo perso la verginità con l'unico uomo che mi aveva uccisa. Per la prima volta.

    Avevo riacquistato la vita, la felicità, la famiglia. Ma mentre lo baciavo con foga, non riuscivo a smettere di pensare a quanto lo avessi amato, nonostante il male che mi aveva fatto. Fu allora, che smisi di baciarlo, lessi nei suoi occhi le sue intenzioni, e lo lasciai fare. Mi sdraiai, chiusi gli occhi, e lui entrò dentro di me.

    Percepivo il suo godimento fino all'ultima goccia, ma non riuscivo a smettere di pensare al giorno in cui mi aveva violentata. Non riuscii a pensare nemmeno al mio orgasmo, sentivo solo tanto, troppo dolore. Quando ci ritrovammo, nudi, coperti solo dalle lenzuola, lui mi afferrò per i capelli e mi baciò, freneticamente. Volevo staccarmi; cercai di andare via ma lui mi afferrò la testa. -Tu sei mia adesso. Ti sei concessa a me e rimarrai per sempre da me. Sarai la mia schiava, la mia geisha, la mia bambola con cui giocare.- Scossi la testa. Mi picchiò. Ero dolorante, piangevo, e tra le lacrime acconsentii.

    Dopo un anno, arrivò un giorno dove ne ebbi abbastanza. Presi un coltello. Chiamai Erick. Lo affondai nella sua carne, spingendo fino a quando non ritrovai il luccichio della lama dall'altra parte. Lo sfigurai, passando quel coltello più e più volte. A quel punto, mi guardai tristemente allo specchio. Ero lì. -Ciao Kalya. Arrivo da te.-
    Affondai la lama nel mio collo, e la strisciai. Sentii il mio sangue caldo colarmi lungo il corpo. Caddi, esanime. A quel punto sorrisi, e chiusi gli occhi. Finalmente la mia sofferenza era finita.

    One-shot sotto copyright di Cristina Medici. Vietata la riproduzione parziale o totale senza il consenso dell'autrice.
     
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    Wow!! Davvero intensa!!
     
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    Uao °A° sono impressionata... ci sono alcuni punti che secondo me dovevano essere approfonditi, ma per essere la prima shot che hai scritto e all'età di 14 anni... ci sono davvero rimasta di sasso *A* Cioè, è un tema abbastanza crudo per una ragazzina, mi chiedo che cosa te l'avesse fatta venire in mente ^^
     
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  4. simplelover¹
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    Avevo visto un film, che mi aveva molto colpita. A distanza di 5 anni sono un po' colpita, dato che è stato il mio primo approccio vero con la scrittura, esclusi i temi scolastici.
     
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3 replies since 21/4/2012, 19:39   79 views
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