Violet

Fantasy, Romantico, Avventura | Arancione

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    Ora la smetto prima che ti riempio il topic di considerazioni e discorsi fuori dal contesto :) Però sono soddisfatto della discussione, è stata molto bella. Uno dei casi in cui internet, con i suoi forum, mostra quel che vale :)

    Sono pienamente d'accordo :)

    CITAZIONE
    Ma ne parleremo nel mio topic, così da non spammare qui :)

    Eheheh, va bene XDD

     
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    Rufus lo odio proprio!! Solito uomo gonfio d'orgoglio!
    Comunque sono proprio curiosa di vedere cosa si inventerà Violet ora.
    Complimenti come sempre Rita ♥
     
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    Grazie, Sanduccia!! XDD
     
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  4. dany the writer
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    Bene, ho letto il capitolo 2! Ha meno azione del primo, e molta più focalizzazione sul protagonista. Focalizzazione che, illuminando bene Erin, mette in ombra la scena stessa. C'è una lunga digressione sui suoi pensieri e sul passato, ma ad un certo punto io ho avuto la sensazione che l'ambiente svanisse xD
    Comunque sia, fino al secondo capitolo ci sono arrivato e posso dire che hai gettato le basi per il proseguo della storia, sembra interessante! Appena avrò occasione tornerò a leggere il terzo capitolo :)
    Occhio alla punteggiatura! ^^
     
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    Per ora in effetti l'azione è limitata ^^ E forse lo sarà ancora per un po'... prima anche degli eventi, la mia intenzione è di mettere bene a fuoco i personaggi e la loro psiche, assieme alla storia personale... o forse possiamo dire che è una caratteristica del mio modo di scrivere e di raccontare XDD
    Ci sono errori di punteggiatura?
     
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  6. dany the writer
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    Io non mi soffermo molto a guardare gli errori, però posso dirti di riguardare la punteggiature e l'ordine delle frasi. In alcuni casi le virgole aiuterebbero a rallentare dei pezzi che, senza esse, vengono letti fino a restare senza fiato :) Rileggerò e ti dirò se ci sono errori :)
     
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    Appena avrò del tempo rileggerò anche io e vedrò di fare meglio XD Grazie <3
     
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  8. dany the writer
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    Prego! A buon rendere! ^^
     
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    Capitolo 05 - Surdesangr

    Senza rendermi ben conto di dove mi guidassero i passi, trascorsi la mattina a girovagare per le strade della città bassa. Quando dovevo meditare, infatti, preferivo tenermi alla larga dalla zona delle residenze nobiliari, dove le persone per strada avrebbero potuto riconoscermi, per mescolarmi facilmente nel flusso della gente del popolo impegnata nelle proprie attività lavorative quotidiane. Ciò mi permetteva non solo di lasciarmi per un momento alle spalle la mia condizione di privilegiata – che comportava, per altro, innumerevoli obblighi –, ma mi metteva in contatto con quella parte di umanità più bassa e per questo più vera ed autentica. Ma pensare non era abbastanza, mi resi conto, quando capii con chiarezza dove fossi finita. C’era un solo posto in cui mi recavo quando ero afflitta e amareggiata o quando dovevo sfogare la tensione accumulata: il Surdesangr, l’arena dove venivano combattuti gli incontri più cruenti tra i gladiatori-schiavi. Si trattava di un complesso in pietra di medie dimensioni, il più imponente comunque che vi si trovasse nella parte popolare di Norvo. Era un famoso luogo di raduno per i malviventi ed altra gente pericolosa, dove si scommetteva sull’esito degli incontri che venivano organizzati tra gli schiavi: si trattava di un posto macabro dove la morte mieteva quotidianamente le sue vittime, poche persone avevano il coraggio di avventurarvisi, specie se recavano con sé monete o beni di altra natura che potevano facilmente essere sottratti, soprattutto non vi mettevano piede le donne – a meno che non si trattasse di prostitute sotto la protezione di uno dei signori del Surdesangr. Beh, nessuna donna tranne me, per essere precisi. Da anni ormai la gente del posto si era abituata alla mia presenza in quel luogo insolito e aveva smesso da un pezzo di molestarmi, tentare di derubarmi o farmi troppe domande. A ben pensare, era proprio in questo luogo malfamato che mi ero guadagnata il soprannome di Violet.
    Attraversai l’imponente arco di pietra che dava accesso ad un’arena tonda grande parecchi metri. Anche a quell’ora del pomeriggio il locale era pieno zeppo di gente che urlava ed incitava i combattenti che ansimavano come animali e menavano furiosi fendenti per difendere la propria vita. Il campo dove gli schiavi si incontravano era recintato da una grande gabbia di ferro pregna del sangue essiccato delle precedenti lotte, del sudore della folla e di altro sudiciume che era meglio non analizzare troppo da vicino. Mi tenni a debita distanza dalla zona dove gli uomini si accalcavano per assistere all’incontro ed incitare i lottatori e mi diressi sugli spalti rialzati, mi sedetti sulla nuda pietra e mi abbandonai allo spettacolo che si stava svolgendo. Non amavo molto quel luogo: a dirla tutta disprezzavo il modo in cui venivano usati quei poveri uomini, brutalmente trattati e costretti a lottare tra loro per la propria vita, per quanto misera fosse. Non esisteva rispetto lì dentro eppure quel tipo di intrattenimento andava per la maggiore da secoli e pareva incitare la parte più bestiale e sanguinaria dell’essere umano. Ma allo stesso tempo ne ero come attratta: assistevo ai massacri e meditavo sulla caducità umana, sul bisogno dell’uomo di affermarsi, di lottare e di vincere. Vedevo sui volti dei vincitori l’eccitazione, la frenesia, la baldanza, la rivalsa; e sui volti dei perdenti la paura, la sconfitta, l’umiliazione ed infine la morte. Ed in un solo istante si consumava con impeto disperato la vita, nel centro dello squallore più degradante e totale. Mi riempivo gli occhi e l’animo di quell’orrore, dicendomi che la vita era così: crudele, spietata e che solo i forti potevano andare avanti. Era così che io dovevo andare avanti. E quando arrivavo al limite e la ripugnanza mi soverchiava, andavo via: avevo dimostrato a me stessa di essere abbastanza forte da guardare il faccia la morte, il dolore. Quello cui tentavo di abituarmi era la consapevolezza che anche io sarei probabilmente morta in modo atroce, con tanto, tantissimo dolore, in un campo di battaglia, sconfitta da un nemico più forte e astuto di me. Per questo dovevo estinguere la paura.
    Il chiasso era frastornante, l’aria pregna della puzza di sangue, sudore e piscio: l’odore della morte. I contendenti erano stanchi e feriti, ma il bestione grasso avrebbe probabilmente avuto la meglio sullo stecco smilzo e traballante che si ritrovava davanti. Sicuramente non era il suo primo combattimento, ma si era sfiancato nelle lotte vinte precedentemente. Il biondino magro, invece, pareva misurarsi nel suo primo combattimento vero e gli si leggeva negli occhi il terrore dell’avversario: non c’era storia, ed in poco tempo i fatti mi diedero ragione ed il ragazzo morì con un colpo vibrato alla gola. Un fiotto di caldo sangue, scese ad innaffiare il pavimento polveroso e le vesti del vincitore che inveiva contro la folla e gridava la sua vittoria. Continuò altri tre combattimenti, prima di morire per caso sotto il colpo di un avversario meno degno di lui; la stanchezza ed il sangue che aveva perso avevano fatto la maggior parte del lavoro, e così ora c’era in gara un nuovo campione.
    Proprio quando stavo decidendo di tornare a casa, un mano callosa mi trattenne ed una voce imperiosa chiamò il mio nome.
    «Violet! Che sorpresa, non aspettavo di vederti qua!»
    Mi voltai verso l’uomo che avevo immediatamente riconosciuto: era molto più alto di me, sul metro e novanta, grosso di corporatura e muscoloso. Era sulla cinquantina e aveva occhi nocciola piccoli ma profondi ed i capelli radi sulla fronte ma abbastanza lunghi sulla nuca da tenerli raccolti in tante piccole treccine. Il suo viso era segnato da numerose cicatrici che gli conferivano un’aria ribelle e pericolosa. In effetti non era un soggetto raccomandabile, ma io lo conoscevo da alcuni anni ormai, e con me si era sempre comportato bene, offrendomi il dovuto rispetto.
    «Calis, da quanto tempo» lo salutai afferrandogli un braccio.
    «Cosa ti porta da queste parti? Non ti si vedeva più da un po’ di tempo.»
    Scrollai le spalle. «Avevo bisogno di pensare un po’» risposi.
    «Aah, certo! E tu riesci a pensare in un posto del genere?» rise, allargando le braccia ad indicare il putiferio che si stava svolgendo tutto attorno a noi. «È proprio da te, Violet. Un luogo pericoloso per venire a rilassati… Ma guardati! Come sei pallida! Non ti danno da mangiare su alla fortezza delle guardie?»
    Feci una smorfia. «Il cibo non manca ma quel posto fa passare la fame.»
    «Ah! Ben detto!» gridò. Mi diede una pacca poderosa sulla spalla e mi fece riaccomodare sulla pietra degli spalti. «Perché non ti fermi alla nostra tavola? Vasil sarà contento di ospitarti… è parecchio che non ti vede. Sai com’è, si è fatto vecchio e la compagnia femminile lo tirerebbe su, soprattutto la tua!»
    «Ghiaccerà l’inferno prima che Vasil si faccia mancare compagnia femminile e si deprima tutto solo in un angolo», lo corressi, «grazie dell’invito, comunque, ma non so se sia il caso di accettare. Magari la prossima volta, ho delle cose a cui devo pensare per il momento.»
    «Ti riferisci al plotone di soldati che devi raccogliere?»
    Sgranai gli occhi e lo fissai attonita per un momento. «La voce è arrivata fino a voi?» Ero esterrefatta!
    «Puoi dirlo forte, bambina!» tuonò con l’espressione di chi la sapeva lunga. «Non so se ci sia qualcuno in città che non sappia di questa storia. La servitù parla, è risaputo. Dove c’è almeno un paggio o un aiutante di stalla ad origliare certi discorsi, si può star certi che le notizie viaggiano veloci. Ho saputo che hai dato spettacolo al Consiglio: a quanto pare il soldato semplice che sorvegliava l’entrata ha raccontato l’accaduto ai suoi commilitoni. È bastato un attimo perché l’accaduto arrivasse all’orecchio di tutta la fortezza, e naturalmente fino a noi. Abbiamo molti contatti con le guardie, qua sotto.»
    «Naturalmente» sogghignai.
    «Già. Si narra di questo fatto come dell’ultima impresa di Violet, che disarma e lega come salami i membri più importanti del Consiglio! Una ragazzina tutta sola… che forza che sei!» gracchiò, mezzo soffocato dalle risa. Poi dei rapidi colpi di tosse misero fine alla sua ilarità. «Molti hanno applaudito alla tua mossa. Sai che generalmente i soldati non sono amati da quelli come noi: ci limitiamo a tollerarli come loro fanno con noi… giusto per mantenere l’equilibrio delle parti e non creare troppi problemi inutili.»
    Feci un cenno di assenso.
    «Ora che hai intenzione di fare?» mi chiese d’un tratto. «Hai bisogno di qualcuno, immagino.»
    «Sì», sospirai. «Devo assolutamente convincere qualcuno a seguirmi. Mi servono uomini, mi serve forza militare… non posso farcela da sola.»
    «Immagino che tutti i soldati abbiano ripiegato
    Annuii. «Molti sono troppo orgogliosi, altri sono sottoposti alle pressioni di chi vuole screditarmi. Purtroppo non ho abbastanza influenza per conto mio da contrastare quella dei miei nemici, per cui non posso oppormi alla paura di certi soldati delle ritorsioni che potrebbero subire se passassero dalla mia parte. Non ho abbastanza potere per proteggerli tutti.»
    «Capisco. È un gran brutto problema. Non sai ancora cosa fare, dunque?»
    «Ci sto pensando… forse la risposta non si trova tra le mura del Palazzo delle Guardie. Forse è per questo che sono qui…»
    «Vuoi comprare uno schiavo, o affrancarne uno?»
    «Sarebbe un’idea, sì. Pensi che sia fattibile?»
    Calis ci pensò per un po’mentre si grattava la crespa barba grigia. «Ti servono degli uomini molto forti», borbottò, «che sappiano combattere e che abbiano disciplina… purtroppo la maggior parte degli schiavi che si trovano qui sono ragazzetti spauriti che non hanno mai visto una lama in vita loro. Quello che cerchi, dunque, è un campione» annunciò. «Ma i campioni sono molto quotati. Ti permettono di vincere le scommesse per cui non troveresti nessuno disposto a venderti il proprio. O se accettassero, lo farebbero ad una somma esorbitante.»
    L’arena del Surdesangr era in mano ad un gruppo di uomini chiamati Signori del Sangue che conducevano una vera e propria tratta di schiavi-gladiatori: si trattava di persone arricchitesi grazie al commercio di schiavi e al giro di scommesse che venivano organizzate nelle arene. Ognuno di loro aveva uno o più “campioni”, ovvero schiavi che si erano distinti per la loro forza e che erano sopravvissuti più a lungo ai giochi crudeli, sconfiggendo tutti gli avversari. In genere, i più forti e fortunati di loro, sopravvivevano qualche anno, ma prima o poi perivano tutti sotto i colpi di uomini più potenti di loro. Tuttavia, fino a quando non giungeva per loro quel momento, i Signori del Sangue li nutrivano e li attrezzavano meglio rispetto a tutti gli altri pesci piccoli, trattandoli come le teste in carica della loro piccola armata, grazie ai quali potevano vincere importanti scommesse. Quegli incontri erano diversi da quelli cui avevo assistito in quel pomeriggio, che servivano per un blando intrattenimento e si potevano definire vere e proprie carneficine gratuite: si trattava di lotte focalizzate, dove la folla si raccoglieva e tifava per il suo eroe del momento.
    «I soldi non mi mancano, ma vorrei prima vedere la merce. Hai qualcuno da consigliarmi?»
    Calis sbuffò, grattandosi la barba, e scrollò le spalle. «I più quotati al momento sono Geoffrey, il Toro e il Cavaliere. Ma il Toro è un po’ stupido, tutta forza bruta e poco cervello, non ti servirebbe e niente se non a farti tagliare la gola nel sonno: non è un tipo molto leale.»
    «Come lo tiene sotto controllo il suo Signore?» gli domandai.
    «Col Giuramento di Sangue, in che altro modo se no? Un tipo come quello non si lascia a piede libero senza un’adeguata protezione.»
    «Dunque il suo Signore è Drogart?» indovinai.
    «Esatto. È l’unico che possa vincolare uno schiavo col sangue, tra i Signori del Surdesangr
    Il Giuramento di Sangue era uno dei patti più antichi e vincolanti che avevano donato gli Dei agli uomini. Il Sangue per loro era sacro e solo chi era dotato di sufficiente magia poteva legare un uomo a sé tramite di esso. Ora che la magia era quasi del tutto scomparsa e rimanevano praticabili solo alcune forme di essa, essere in grado di stipulare un simile patto era qualcosa di eccezionale, che solo pochi individui erano in grado di fare. Anche se qualcuno recava in sé qualche traccia dell’antica magia, non sempre la possedeva in quantità bastevole per un rito così complicato, che mirava a legare il destino e la vira di un uomo a quella di un altro. Quando il patto era contratto, vi erano ben poche cose in grado di romperlo: una di esse era l’interferenza sul vincolo di una terza forza magica più potente, in grado di spezzare la magia apposta precedentemente. Ma era già raro trovare qualcuno che potesse usufruire del Giuramento di Sangue, di conseguenza, era quasi impossibile imbattersi in un’altra fonte di potere che la superasse. Fino a quel momento, che sapessi, solo io ero quel “quasi impossibile” in cui avrebbero potuto imbattersi le persone sotto Giuramento: anche questo era uno dei miei segreti.
    «Quando potrò vedere combattere i Campioni?» chiesi a Calis che nel frattempo di era concentrato sullo scontro di atto.
    «Molto presto, sei fortunata. Mi hai trovato qua perché oggi combatteranno tutti e tre più Il Gallo.»
    «Solo quattro campioni?» alzai un sopracciglio.
    «Vasil al momento non ha nessuno che possa competere» grugnì palesemente scontento.
    «Le cose non vanno molto bene?»
    «Per dirla così… ci mancano i campioni! Pochi tengono testa al Toro e nessuno batte Il Cavaliere. Per ora scommettiamo sulle gare minori, ma le finanze iniziano a piangere.»
    «Mi dispiace di sentirlo.»
    «Ti ringrazio, ma non puoi fare molto. Questa cose capitano… spero si tratti solo di un momento di ribasso come altri prima. Purtroppo bisogna stare molto attenti perché si può essere scalzati dalla propria posizione molto facilmente.»
    Annuii comprensiva.
    Tornammo a guardare il combattimento che volgeva al termine. I contendenti erano un po’ ammaccati, ma per fortuna nessuno aveva perso la vita ed uno di loro si era arreso in tempo. Quando si concluse l’ennesimo scontro, seguì un momento di paura in cui si sentì vibrare l’eccitazione tra il pubblico. Ai banchi delle scommesse, le persone si accalcavano per dare la loro puntata; gli uomini ingollavano calici enormi pieni di birra e parlavano dei campioni che presto sarebbero scesi in campo. Dalle voci, Il Cavaliere era quello che suscitava più stupore sebbene, a detta dei più, non spargesse mai abbastanza sangue; Il Toro, invece, era un animale e gli piaceva investire le persone con la sua stazza per intimorirle, prima di sventrarle con rudi fendenti di spada. Geoffrey veniva criticato per la sua puzza eccessiva, dicevano di lui che fosse quella a stendere i suoi avversari prima ancora che iniziasse il combattimento.
    Il Gallo aveva guadagnato il suo soprannome dal fatto che chiedesse, come ricompensa delle sue vittorie, un donna da scopare: qualcuno aveva mormorato persino che una volta avesse dato spettacolo sul ring, accoppiandosi con foga sopra al sangue dell’uomo che aveva appena ucciso.
    Un boato generale mi informò del momento in cui fecero la loro comparsa i suddetti Campioni. La folla si aprì per far loro spazio e quattro uomini corpulenti avanzarono sul pavimento sabbioso ammiccando e lanciando urli di sfida. Solo uno tra loro era taciturno ed aveva un’espressione torva, come se non vedesse già l’ora di concludere quella partita. Era biondo e piuttosto di bell’aspetto: le poche prostitute che si trovavano nella sala, gli lanciavano sguardi bramosi e pieni di cupo desiderio.
    «Dimmi il nome di quel tipo» dissi a Calis indicandogli il biondino.
    «Se ti riferisci al tipo taciturno, quello è il Cavaliere. Non parla molto ed è più smilzo rispetto agli altri, ma quando combatte è una vera forza» mi assicurò.
    «Quello con la testa rasata e il cerchio sul naso è il Toro», proseguì. Ora capivo il perché del suo nome: dava davvero l’impressione di essere un animale pronto a lanciarsi con accanimento contro chiunque gli sbarrasse la strada.
    «Il tizio con quel ridicolo ciuffo è il Gallo.» Il combattente in questione non era alto ma, in compenso, era molto ben piazzato. Sembrava quasi un armadio tanto era quadrato. Aveva i capelli rossi e davanti alla faccia spiccava un ciuffo che gli copriva quasi del tutto un occhio. «L’occhio coperto è cieco, una ferita da battaglia. È stato fortunato a non lasciarci la pelle» continuò l’uomo al mio fianco, come se mi avesse letto nel pensiero.
    L’ultimo rimasto, un gigante dall’espressione un po’ intontita, doveva essere Geoffrey. Cielo, i denti putrefatti si notavano benissimo persino da dove mi trovavo io!
    «Presto sorteggeranno le coppie», mi informò diligente Calis. Anche lui era impaziente di assistere agli incontri. Era venuto per conto di Vasil per studiare i Campioni ed individuare eventualmente falle nella loro difesa o nel loro modo di combattere. Anche se non aveva ancora un campione suo, contava di trovarne presto uno che fosse in grado di sconfiggere gli altri.
    Contrariamente a quanto mi aspettavo, non si misero sùbito a sorteggiare. I campioni, come si era affrettato a spiegarmi Calis, prima di combattere tra loro, offrivano la possibilità agli altri schiavi di sfidare la loro posizione: nel caso in cui fossero stati sconfitti, il nuovo vincitore avrebbe preso il posto del campione in carica, guadagnando tutti i privilegi che erano prima toccati all’altro (per quanto insignificanti fossero, erano pur sempre meglio che niente). Così assistetti a combattimenti preliminari che durarono poco: erano davvero valenti i quattro campioni e nessuno schiavo che li aveva sfidati si erano dimostrato alla loro altezza. Tuttavia capivo benissimo perché avessero preferito tentare: uno dei privilegi concesso ad un campione, era quello di ottenere l’affrancamento dopo un periodo di cinque anni. A patto che rimanessero vivi e che vincessero gli scontri, avevano la possibilità di riguadagnare la propria libertà se resistevano così a lungo. Inutile dirlo, ben pochi erano mai riusciti in tale impresa. Tuttavia era un forte richiamo, un sogno che spingeva quei miserabili a combattere per qualcosa.
    Un nuovo boato mi strappò alle mie elucubrazioni e mi accorsi che sul campo si fronteggiavano Il Toro e Geoffrey: entrambi erano imponenti, ma Geoffrey superava di qualche centimetro la testa rasata del Toro. Questo primo scontro durò parecchio prima che uno dei due mostrasse segni di stanchezza. Capii quasi immediatamente cosa avesse voluto dire Calis riguardo al Toro: aveva modi efferati, una foga animalesca ed uno sguardo omicida. Amava la lotta fine a se stessa e pareva godere di ogni colpo inferto al nemico. Quando buttò, con un ultimo slancio, l’avversario fuori dal ring, gridò la sua vittoria ridendo come uno psicopatico, ed andò avanti così per qualche minuto aizzando la folla ad acclamarlo.
    Lo scontro successivo, quello tra Il Cavaliere ed il Gallo, non fu altrettanto lungo: il Gallo sfruttava a proprio vantaggio la sua mole contro il biondino, lanciandosi in violenti attacchi che, se presi in pieno, avrebbero tramortito un bue. D’altro canto, il Cavaliere sfruttava al meglio la cecità del rivale, muovendosi spesso nella direzione del campo visivo limitato e si muoveva con grazia ed agilità: dopo un primo momento in cui l’uomo parve soppesare testa-rossa, contrattaccò con foga in azioni mirate. La sua conoscenza della spada mi sorprese e non potei fare a meno di ammirarne la tecnica! Non sembrava nemmeno sforzarsi troppo nello schivare i colpi dell’avversario. Secondo dopo secondo, mi convincevo sempre più che era lui l’uomo di cui avevo di bisogno.
    «Cosa sai di questo Cavaliere, Calis?» gridai vicino il suo orecchio per sovrastare il vociare della folla.
    L’uomo si voltò con un sorriso che lasciava intendere che si era aspettato il mio interesse. E mi rispose: «Nessuno sa molto, in realtà. È stato portato in città come schiavo, non sappiamo nemmeno da dove e lui non ha mai parlato con nessuno del suo passato. È impossibile non notare come maneggi dannatamente bene la spada ma, per quanto glielo si chieda, non vuole dirci chi gli ha insegnato o dove ha imparato. È un fottuto enigma!»
    «Pensi che sia pericoloso?» volli sapere.
    Calis scrollò le spalle. «Per esserlo, lo è. Basta vederlo combattere: non perde mai uno scontro! Tuttavia c’è un motivo se il suo soprannome è “Cavaliere”…»
    «E sarebbe?»
    «È fin troppo gentile. Non uccide mai il proprio avversario a meno che non sia indispensabile. Nemmeno quando è la folla ad esigerlo, ad acclamare il suo sangue.»
    «Non uccide mai nessuno?» ripetei sbalordita.
    «Non esattamente... a volte ha dato la morte a chi era ormai spacciato e l’unica alternativa che aveva era una morte lenta e dolorosa. Cazzo, alcuni lo chiamano “Angelo della Morte” per la misericordia che dimostra alle sue vittime!»
    Quello che sentivo mi dava la speranza che non fosse un tipo tanto male. Forse era possibile acquistare la sua lealtà e convincerlo a battersi per me e con me. Saremmo stati a vedere.
    Proprio come si aspettavano tutti, fu il Cavaliere ad aggiudicarsi la vittoria. Notai fugacemente che era stato bene attento a non infliggere gravi ferite al compagno. Nonostante questo, il Gallo si mostrava sdegnato e deluso della sconfitta e rifiutò la mano che il biondino gli aveva teso per aiutarlo a rialzarsi: sputò sul terreno pregno di sangue rappreso e, voltando al pubblico la schiena, se ne andò mentre la folla acclamava ancora il vincitore di quell’incontro.
    Il Cavaliere vinse anche il successivo incontro contro il Toro, anche se, questa volta, la battaglia durò un po’ di più.
    «Allora che pensi di fare?» mi interpellò alla fine dei giochi l’omaccione.
    Mi voltai a fissarlo negli occhi e tesi le labbra in un sorriso complice.
    «Suppongo di dovermi dare da fare, mio caro amico» gli risposi.
    «Hai già deciso, dunque?»
    «Esatto. Voglio quel Cavaliere tutto per me.»
    «Non sarà affatto facile, Violet…» grugnì ammonendomi. «Il Signore del tuo campione è Stenton. Non riuscirai a strapparglielo… di sicuro non vorrà venderlo: ci fa troppi soldi al momento.»
    «Da quanto tempo è il suo campione?»
    «Da almeno due anni, che io sappia. Prima però lo faceva gareggiare in un’altra arena, a Baia dei Mercanti. Ha portato il ragazzo qui solo da qualche mese. È uno dei pochi che abbia resistito così a lungo a questo regime impossibile! Ancora un paio d’anni e sarà libero, sempre che continui ad avere fortuna e non muoia.»
    Annuii.
    «Capisci che sarà quasi impossibile averlo?» rimarcò.
    «Uh-uh» assentii, «ma non per questo mi arrenderò prima di aver tentato, Calis.»
    «Come vuoi tu, Violet» sbuffò prima di scoppiare in una sonora risata. «Dopotutto, forse tu sei l’unica in grado di passare sopra a questi ostacoli! Me la voglio vedere tutta!» tuonò.
    Lo guardai ridere di gusto mentre scuotevo la testa. Era un burlone e non sarebbe cambiato mai.
    «Bene, amico mio, è giunto il momento di fare questa visita a Vasil. Spero che sarà contento di vedermi!»
    «Oh, puoi scommetterci, bambina! Vieni con me, ti accompagno da lui.»
    Detto questo, lasciammo la nostra postazione e ci facemmo strada lungo stradine strette e poco illuminate. Era, nel frattempo, scesa la sera e pensai che non avevo sentito affatto lo scorrere del tempo.
    Sospirai in preda ad all’improvviso timore di non farcela: e se avessi fallito? Quali altre alternative mi rimanevano oltre ad acquistare uno schivo-gladiatore?
    Cercai di mettere da parte tutti i timori, almeno per il momento, e seguii Calis fino all’abitazione del vecchio Valis. Sperai con tutto il cuore che l’accoglienza fosse buona.

    [Torna all'elenco Capitoli][Continua...]




    Edited by Ryo13 - 22/7/2014, 14:34
     
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  10. dany the writer
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    L'ultimo aggiornamento mi è piaciuto assai: hai tratteggiato il mondo dell'arena e dei giochi gladiatori in maniera semplice, però concreta. Nel senso che non è servita una descrizione a 360 gradi per immergere il lettore in un mondo fatto di violenza, fuoco e sangue (motto della casa Targaryen, la mia casa)
    Arruolare dei mercenari gladiatori non sarà pericoloso?
     
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    Grazie XD
    Sì, è pericoloso, nonostante i "metodi di difesa" di Erin XD è per questo che deve valutare attentamente chi affrancare, e chi no XD
    Il Toro è un esempio del tipo pericoloso che le taglierebbe la gola senza pensarci due volte per poter scappare e riavere la sua libertà ^^
    Il punto, comunque è che non si tratta di mercenari.... questi di cui parlo sono veri e propri schiavi che sono stati costretti a combattere nelle arene, pena la morte. Ovviamente alcuni sono più violenti e sanguinari di altri, ma a certuni invece non piace uccidere la gente e sarebbero felici di non doverlo più fare e tornare ad essere schiavi normali, ovvero che anche senza libertà, vengano almeno preposti a compiti semplici per compiacere i loro padroni ^^
    Comunque, Erin ha un asso nella manica.... xD
     
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  12. dany the writer
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    Beh, se non ne avesse uno sarebbe messa davvero male, no? xD
     
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    Ahahahah X°°D Esatto!! xDD
     
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  14. dany the writer
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    Capisco essere sicure di sè, ma come disse Al Capone: "una parola gentile, ed una pistola, fanno di più di una sola parola gentile"
     
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    Ahahahahah, citazione azzeccatissima! X°°D
     
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519 replies since 31/5/2012, 10:52   5785 views
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