One day, by chance, a great love story

One-shot || Romantico/Sentimentale || Malinconico || Dramma psicologico || Verde

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    One day, by chance, a great love story


    _Autore: Ryo13
    _Genere: Romantico, Sentimentale, Malinconico, Dramma psicologico
    _Rating: Verde
    _Tipologia: One-shot

    _Breve descrizione: Questa è la storia di un amore impossibile, un amore che ha consumato e conquistato e segnato l'esistenza di una'anziana signora. Ora questa signora siede da sola, sulla panchina di un parco, a meditare di ciò che fu il suo amore e se è stato giusto sacrificare la vita, che avrebbe altrimenti potuto avere, in suo nome. Una giovane ragazza, Irma, sarà la risposta a questa domanda: Un giorno, per caso, una grande storia d'amore fornirà tutte le risposte che si vorranno avere.

    _Note: ♣ Se dovessi presentare la mia storia, direi che si tratta di una storia al contrario: dove l'illusione è preferibile alla realtà perché questa ci porta ad essere davvero felici, contrariamente a quanto saremmo nella vita reale. La fine può essere interpretata come felice o triste, a seconda dei punti di vista: in ogni caso, l'elemento tragico l'ho inteso nel fatto che, una volta rotta l'illusione, qualsiasi tentativo di ricostruire quello che c'era prima della rivelazione è stato inutile perché tutto quello che era prima è dovuto inevitabilmente cambiare col mutare della percezione e della consapevolezza della protagonista.
    ♣ Sanda ha trovato una canzone che si adatta molto bene al ritmo del testo quindi, chi volesse, può ascoltare questa melodia durante la lettura del brano: Romeo and Juliet - Time for us (Violin)



    Romeo and Juliet - Time for us (Violin)



    Aprii la porta di casa ed uscii sbattendola dietro di me. Non ne potevo più di passare un altro minuto dentro, tra quelle quattro pareti soffocanti. La luce del mattino rischiarava il marciapiede vuoto mentre nel silenzio rimbombava il suono dei miei passi frettolosi. Avevo bisogno di fuggire per un poco, di staccare la spina. Con Nathan era finita ormai da cinque mesi ma si sembrava ancora di morire dal dolore nella mia forzata solitudine. Non riuscivo a stare più a contatto con gli altri: ogni cosa mi ricordava lui e quando meno me l’aspettavo lacrime di rabbia e rimpianto piovevano sul mio viso senza che ne avessi alcun controllo. Odiavo esporre la mia fragilità agli altri, persino se erano miei amici. La mia famiglia aveva assistito impotente al disfacimento di tutti i miei sogni, quando quel maledetto giorno di Maggio, Nathan aveva deciso di piantarmi in asso.
    Un biglietto, tutto quello che avevo avuto da lui per spiegarmi perché avesse mandato a monte anni di relazione e mesi di organizzazione scrupolosa di un matrimonio che, chiaramente, non aveva mai voluto.

    “Non me la sento, Irma, scusami. Non riesco più a soffocare i miei sogni, è ora che io trovi me stesso e sento che per farlo devo troncare con tutto e tutti. Non ti chiedo di aspettarmi.”


    Così mi aveva scritto ed ero rimasta a fissare quel foglio per ore e poi per giorni. Lo avevo imparato a memoria, mi ero torturata per cercare di capire cosa mi avesse voluto dire con quelle poche parole. Avevo desiderato di leggervi più di quello che diceva e lo avevo aspettato credendo che la sua fosse solo la classica paura che precedeva il grande passo. Ma non si era fatto vedere. Ed io ero rimasta da sola.
    Scacciai dalla mente quei pensieri, avevo di nuovo le lacrime agli occhi e non vedevo più chiaramente dove stessi mettendo i piedi. Svoltando un angolo, giunsi in un parco dove la gente portava a spasso i propri cani e dove faceva jogging, ma era ancora troppo presto perché vi fosse qualcuno in giro. Il sole era ancora pallido e basso all’orizzonte e l’aria era fresca. Trassi un profondo respiro e rabbrividii, godendomi la momentanea sensazione di pace e serenità.
    Avviandomi tra i vialetti, circondati dalle fronde degli alberi, nel parco, da lontano scorsi la figura di un’anziana signora. Era seduta curva su una panchina, le mani strette in grembo, e fissava davanti a sé come se vedesse qualcosa che tutti gli altri non potevano vedere.
    Mi guardai attorno per vedere se fosse sola: era molto presto e la signora sembrava molto fragile nella sua figuretta esile, fasciata da un enorme scialle che le copriva le spalle. Da quel che potevo osservare, non c’era nessuno e piano piano mi avvicinai a lei: era così immobile ed assorta che pareva non respirasse nemmeno. Sembrava così eterea nel suo volto chiaro e deformato dai segni del tempo, che per un momento mi venne l’assurdo pensiero che non si trattasse di una persona reale, ma che bastasse un battito di ciglia per vedermela sparire da davanti agli occhi.
    Ma lei a quanto pareva era vera perché, quando fui abbastanza vicina da sfiorarle quasi la lunga gonna, sollevò di colpo lo sguardo e mi puntò addosso gli occhi di un intenso colore del cielo. Erano quasi liquidi mentre parevano leggermi nell’animo ed incredibilmente fermi: non un battito di ciglia, né un tremito a muovere la sua figura, solo il leggero sollevarsi delle spalle per la respirazione. Ogni cosa nella sua posa, nel suo sguardo, nelle sue mani rugose e giunte, trasmetteva calore e sicurezza, ma anche un incredibile senso di malinconia e torpore. Ci fissammo alcuni istanti, poi gli occhi mi si riempirono di lacrime per la commozione e non riuscii a dire nulla. Lei, dal suo canto, non mi fece domande e batté con mano materna la panchina per invitarmi a sederle al fianco. Presi posto accanto a lei cercando di non pensare a quanto fosse surreale quella situazione.
    Dopo qualche minuto avevo ripreso fiato e allontanato l’istinto di scoppiare a piangere accasciandomi per terra.
    Lei ruppe il silenzio tra noi chiedendomi:
    «In che anno siamo?»
    Mi voltai a guardarla. Avevo capito bene la domanda?
    «È il 1999» le risposi.
    Lei annuì e osservò degli uccelli in volo.
    «È una bella stagione, questa» commentò.
    «Sì, Ottobre è sempre stato il mio mese preferito.»
    «Ottobre…» sussurrò la vecchietta.
    «Le ricorda qualcosa?»
    Sorrise con calore. «“Il cantante di Jazz”»
    «Come, scusi?»
    «“Il cantante di Jazz”», ripeté, «avevo circa otto anni quando uscì per la prima volta al cinema. Era il 1927.»
    Completamente un’altra epoca. «Era felice?» Non so perché glielo chiesi ma aveva un’espressione sognante che per un momento le invidiai, e fui curiosa di sapere cosa, di quel ricordo, la rendesse così lieta e triste allo stesso tempo.
    «Oh, sì» sospirò. «Quel giorno ho conosciuto Michael.»
    «Michael è suo marito?» volli sapere.
    «È stato il grande amore della mia vita. L’unica persona insostituibile per me.»
    La sua risposta mi rattristì sia per il tono nostalgico con cui l’aveva formulata, sia per il ricordo ancora doloroso che aveva suscitato in me. Avevo creduto che Nathan fosse l’amore della mia vita, e poi le cose erano precipitate senza che io ne avessi sentore. Non avevo potuto fare niente perché non mi ero accorta di nulla che non andasse tra di noi. Ogni tanto lo sorprendevo a fissare il vuoto, ma erano sempre brevi momenti cui non avevo mai dato troppa importanza. Bastava un suo sorriso a farmi dimenticare tutto il resto. Ma lui? A lui non erano bastati i miei sorrisi, i miei abbracci? Quanto aveva sofferto in realtà stando accanto a me senza che io lo capissi fino in fondo?
    «Lui come si chiama?», la gentile voce della vecchia mi riportò alla realtà facendomi trasalire. Non mi sorpresi, però, del fatto che avesse intuito cosa fosse a tormentarmi.
    «Nathan. Si chiamava Nathan.»
    «Non c’è più?»
    «Non per me.»
    «Capisco» mi disse, ma chissà se era vero.
    «Se n’è andato» confessai di getto, per spiegarle in parte cosa fosse accaduto.
    Lei fece un cenno e allungò una mano a carezzarmi la schiena in segno di conforto.
    «E il suo Michael?» le chiesi.
    Un altro sorriso triste. «Lui è sempre con me.»
    «Le manca?» domandai, pensando che fosse morto.
    «A volte. Quando tutto il resto prevale, come ora.»
    Non capivo davvero ciò che stesse dicendo ma non pensai che fosse poi troppo importante. L’amore era sempre amore e così le gioie e le ferite che infliggeva. Potevamo avere storie diverse ma l’impronta di dolcezza e sofferenza in noi era la medesima.
    «Mi vuole raccontare?» la invitai, pensando che avevo l’occasione di ascoltare una bella storia felice.
    Il sorriso che mi rivolse, questa volta, fu caldo e gentile. Poi allontanò la vista, come se, scrutando nei ricordi della mente, venisse trascinata lontano, in un’epoca che non avevo mai conosciuto.


    Era il 1927.
    Una bambina nel suo abitino elegante da signorina di buona famiglia, teneva la mano ferma del proprio padre mentre, mescolandosi ad altra gente, entrava nel piccolo cinema di periferia e prendeva posto su una vecchia poltrona. La mamma non si allontanava dal loro fianco e tratteneva per una spalla il figlio maggiore: Thomas, come la sorellina Mary, era impaziente che cominciasse il film perché gli adulti avevano detto che aveva la voce. Si trattava del primo film sonoro mai realizzato.
    Quando iniziò la proiezione, le figure si mossero nello schermo senza che Mary capisse molto della trama. Non parlavano molto i personaggi, ma ogni tanto cantavano e lei si divertiva a sentire quella strana musica uscire dal grande schermo ma puntualmente, a distrarla, un bambino seduto nel posto accanto al suo le faceva le boccacce. Era iniziata una lotta a chi sapeva schiacciarsi di più la faccia e a chi era capace di uscire ed attorcigliare di più la lingua: a chi sapesse rendersi più brutto, in pratica.
    A nulla valsero gli sporadici rimproveri del padre, che veniva per lo più distratto dal film. Mary continuò nei suoi giochi con quello strano bimbo e non si accorse nemmeno di quando venne l’ora di tornare a casa.
    Fu un momento, che voltò gli occhi, e poi non lo vide più. Non sapeva nemmeno il suo nome.
    Quella sera si addormentò sul suo lettino ripensando a quel bambino e desiderando di incontrarlo di nuovo per poterci giocare.



    «E poi lo incontrò?» le domandai, interrompendo il racconto.
    «Sì. Michael fu il mio compagno di giochi quando Thomas non aveva tempo per stare con me, soprattutto in seguito che divenne troppo grande ed io rimasi da sola. Lui era più grande di me di cinque anni. Lei ha fratelli?»
    «Solo due sorelle minori.»
    «Sono una benedizione, i fratelli e le sorelle» disse.
    E io fui d’accordo.


    1935.
    Mary aveva appena compiuto sedici anni ed era diventata una bella ragazza: aveva i capelli alle spalle, morbidamente arricciati e tirati dalla fronte indietro, trattenuti dalle forcine, secondo la moda del momento. Il viso era liscio e pulito, non contaminato da nessun tipo di trucco. Aspettava Michael seduta nella panchina del parco, la sua preferita! Quella dalla quale si scorgeva il laghetto con i cigni, poco più avanti.
    Michael non la fece attendere a lungo e si presentò in calzoni aderenti trattenuti dalle bretelle che gli passavano sopra la camicia chiara.
    “Ti pare modo di vestirsi, questo?” lo rimproverò affettuosamente Mary.
    “Perché? Cos’ho che non va?” obiettava lui allargando le mani e abbassando lo sguardo sui propri vestiti. “Ci ho messo pure più impegno del solito nel prepararmi. Volevo farmi bello per te!”
    Mary scuoteva la testa in segno di disapprovazione, ma il sorriso che le illuminava il viso gli diceva che lo stava solo canzonando.
    “Le maniche della tua camicia”, gli faceva notare, “non dovresti tenerle arrotolate ai gomiti. Non è così che le portano i signori distinti”
    “Ma io non voglio essere un signore distinto”, rideva Michael. “Voglio solo essere tuo”, dichiarava avvicinando il viso a quello della giovane che amava per sfiorarle teneramente le labbra con le proprie, in un contatto casto e dolce. Mary sospirava sul suo viso, chiudendo gli occhi ed offrendo la bocca come pegno del suo amore.
    Amava troppo quei momenti, quando Michael da ragazzo scherzoso, si trasformava in un uomo e mostrava tutto l’ardente desiderio che aveva per lei. Le sembrava che il cuore le scoppiasse nel petto, tanta era la gioia e la commozione. Le piaceva allungare una mano ed accarezzargli i capelli, che erano così lisci e morbidi al tatto. Fremeva di sentire il calore dei suoi baci lungo il collo ed i sussurri di parole ardite vicino l’orecchio. Michael era l’uomo che amava, l’unico uomo che sarebbe mai appartenuto alla sua vita, cui lei, sapeva, sarebbe mai appartenuta.



    «Così vi sposaste?» Il pensiero di quella sacra unione era dolce e triste nello stesso tempo. Nello sfondo della mia mente, non potevo non pensare a Nathan ed al mio matrimonio mai celebrato. Ma il racconto dell’anziana signora che mi sedeva accanto, aveva catturato la mia immaginazione e la mia attenzione, tanto che non ero quasi più triste ed oppressa dai miei problemi, ma mi sembrava di vivere con lei quella bella storia d’amore. Come se fosse anche un po’ mia.
    «Era quello che volevamo», rispose.
    «Cosa successe?»
    Il volto le si incupì ed io sentii un dolore acuto al petto. Quell’espressione non lasciava presagire nulla di buono.
    «I miei genitori non approvavano.»
    «Ma perché?!» obiettai contrariata, «Non lo conoscevano, forse? Se avessero ritenuto che non era un buon soggetto, perché permettere che cresceste insieme?»
    Scosse la testa, come se non potessi capire il vero problema, e provò a spiegarlo: «Loro non lo avevano mai incontrato.»
    «Ma come…?»
    «Ogni volta che glielo chiedevo, trovava sempre una scusa per sottrarsi o faceva qualcosa che mi faceva passare dalla mente ogni buon proposito.»
    «Perché Michael non voleva incontrare i tuoi parenti?» domandai.
    «Beh, mia cara, ora mi rendo conto che non poteva…»



    1938.
    Il papà di Mary la guardava sconsolato. La mamma, lì accanto restava muta: sembrava una statua di ghiaccio lì sulla poltrona del salotto. Ma anche così era comunque bella: Mary aveva sempre desiderato essere come sua madre, bella, elegante, raffinata… cercava sempre di imitarla in tutto. Ora voleva un felice matrimonio proprio come quello dei suoi genitori ed aveva trovato l’uomo perfetto. Amava Michael, più della sua stessa vita. Ogni volta che lo vedeva le sorrideva il cuore e quel sorriso le si rifletteva sul volto, donando allegria a chiunque la circondasse. Il suo più intimo desiderio era quello di creare una famiglia con lui ed avere tanti bambini da accudire, che gli somigliassero. Quel pensiero la scuoteva fin nel profondo e le faceva venire le lacrime agli occhi dall’emozione. Perché nessuno la capiva?
    “Tesoro, abbiamo bisogno di parlarti”, ruppe il silenzio la voce fievole di suo padre. “Perché non ti siedi con noi?” la invitò, indicando il divanetto.
    “Non voglio sedermi! Voglio che mi capiate: io amo Michael, con tutta me stessa, e voglio sposarlo! Voi non lo conoscete, ma presto lo convincerò a venire qua a casa nostra e voi potrete vedere che è un bravo ragazzo!”
    Sua madre continuava a non parlare ma ora versava alcune lacrime e le asciugava silenziosamente con un fazzoletto ricamato con le iniziali del suo nome.
    “Perché la mamma piange?” chiese, mentre un timore inspiegabile le affiorava nell’animo.
    “Mary”, la richiamò suo padre, “Michael era la persona che era poco fa qui con te? In questo salotto?”
    La ragazza fu colpita per un momento. Lo avevano visto!
    “Sì, papà. Era qua un momento fa. Ma quando ha sentito che rientravate in casa è voluto andare via dalla porta sul resto. Si sente molto in imbarazzo e vuole che l’incontro con voi non avvenga così per caso, senza che si sia adeguatamente preparato”
    Mary cercò di spiegare ai suoi genitori quali fossero le preoccupazioni del suo fidanzato, perché capissero che era davvero una brava persona. Ma ora che sapeva che lo avevano visto, anche se solo di sfuggita, nutriva la speranza che questo bastasse ad attenuare i loro timori e che si mettessero in una disposizione d’animo tale che lei lo potesse presentare senza pregiudizi da parte loro.
    “Mi dispiace, tesoro” sussurrò il padre, “mi dispiace tanto.”
    La mamma scoppiò in un pianto frenetico e si accasciò sulla poltrona. Il marito le si pose accanto e la consolò stringendola e baciandole la fronte.
    “Andrà tutto bene”, continuava a ripeterle per farla calmare. Ma nulla era davvero efficace. Intanto Mary osservava la scena disorientata. Non sapeva cosa stesse succedendo.
    “Papà, spiegami perché la mamma sta piangendo… Michael ha intenzioni serie e non mi ha mai sfiorata, se pensate che lui…”
    “No, Mary,” la interruppe lui, “non pensiamo nulla del genere. Ma tu hai bisogno di essere curata, tesoro.”
    “Curata? Cosa vuoi dire?!” si allarmò. “Io sto benissimo!”
    “Non stai bene, piccola. Ti devo portare da un dottore”
    “Ma perché? Se è per Michael…”
    “Michael non esiste!” sbottò suo padre con l’espressione contratta in una smorfia di insofferenza.
    “Cosa vuoi dire che non…?”
    “È come ho detto. Non c’era nessuno qui poco fa. Tu parlavi da sola.”
    “Ma non è possibile! Sicuramente non lo avrai visto perché ha raggiunto subito la porta!”
    “No, abbiamo osservato ogni cosa. Eri sola in casa” insistette con voce stanca. “Non possiamo più ignorare l’evidenza. Abbiamo cercato di non vedere, di non fare caso a certi tuoi comportamenti. Ma ora vaneggi di matrimonio con una persona che è solo dentro la tua testa. Non possiamo più permettere che le cose vadano avanti!”
    Mary si sentì mancare il fiato e le girò la testa. Dovette appoggiarsi sul divano perché si sentiva svenire. Continuava a cercare di spiegarsi, di far capire ai suoi che Michael era reale, che non era possibile che fosse altrimenti. Cercò di dare loro delle prove inconfutabili, ma si rese conto che nessuna bastava. Si sentii come se il mondo le si chiudesse attorno ed il dolore era troppo forte da sopportare.
    E poi vennero i medici. Mille mani, mille occhi, mille esami e mille domande. Tutto la confondeva, la rendeva incerta sulla realtà e vacillante nella sua risoluzione. Ci furono mille bocche a dirle cosa fosse reale e cosa non lo fosse, mille orecchi a sentire la sua preziosa storia d’amore che veniva costretta a ripetere e ripetere perché gli altri potessero congetturare con che frequenza si verificassero le allucinazioni, quanto tempo durassero, come finissero.
    E quando il mondo convinse Mary che tutto ciò che aveva avuto era stata solo un’illusione, pianse di disperazione. Pianse di tristezza per il suo perduto amore. Pianse perché la realtà aveva rovinato il sogno più bello della sua vita, l’unica occasione che aveva avuto per afferrare la vera felicità.
    Si disperò quando fu costretta a dire a Michael, davanti ad un’orda di estranei, sotto loro ordine, che lui non esisteva, che non era reale, che era solo frutto della sua immaginazione. Fu costretta a non rispondergli quando lui, fissandola con i suoi occhi verdi come smeraldi pieni di lacrime e tristi come solo quelli degli angeli sanno essere - quando portano sulle loro ali la disperazione tutta degli uomini - ribatteva: “Non importa che io non lo sia”, mentre le sorrideva come se sapesse che il loro amore era stato contaminato dalla realtà e non potesse mai più tornare ad essere quello di prima, quando apparteneva solo a loro due ed era puro, libero e felice.
    Michael continuò ad affiancarla in silenzio quando lei fu costretta ad ignorarlo a causa della terapia riabilitativa del centro malattie mentali. I medici non volevano che lei gli si rivolgesse: dicevano che se avesse continuato ad ignorarlo, a non rispondere a qualsiasi cosa che le dicesse, presto sarebbe sparito, lei sarebbe guarita e sarebbe stata finalmente libera. Ma quel pensiero non le era di nessun conforto perché per quanto tutti le dicessero che non era reale, Michael era sempre là accanto a lei e continuava ad amarla con lo sguardo dei suoi occhi, con il lieve tocco delle sue mani, con i brevi sorrisi che le regalava quando si girava per accertarsi che fosse ancora lì al suo fianco. Tuttavia l’illusione ormai era stata rivelata e non vi si poteva più porre rimedio: la consapevolezza di Mary era mutata e così lo fu irrimediabilmente anche la percezione che aveva del suo Michael. Egli non crebbe più: era stato rivelato per quello che era e nella sua mente sarebbe per sempre rimasto il bambino che aveva conosciuto quel lontano giorno al cinema, durante la proiezione del primo film sonoro; avrebbe ricordato il giovane di cui si era innamorata e l’uomo che avrebbe voluto sposare, ma non avrebbe mai più potuto conoscere il vecchio canuto che aveva creduto Michael sarebbe divenuto assieme a lei.



    «Il mondo razionale ha costretto i miei occhi di ragazza a vedere la verità dietro al sogno, dietro quella dolce illusione. Capivo quello che mi dicevano, ero arrivata anche a convincermi che quella che mi presentavano loro fosse la verità. Ma non ebbi mai la forza di rinunciare al mio sogno, di vedere sparire Michael tra i fumi della ragione. Da allora seppi, ogni volta che lo guardavo, che potevo vederlo soltanto io, ma non per questo smisi di sorridergli e di tendergli la mano. Quando tutti quei medici si arresero al mio caso e diagnosticarono che non volevo essere “riabilitata”, mi lasciarono tornare a casa, nonostante la profonda delusione di mia madre che non poteva sopportare di avere una figlia schizofrenica. Mio padre fu più comprensivo e si arrese all’inevitabilità della situazione, mentre mio fratello si allontanò per sempre da me: anche lui provava vergogna per la mia situazione, ma io non lo incolpai mai di questo. Ero semplicemente nata sbagliata. Con qualche difetto dentro la mia testa. Ma non mi sentii mai da meno rispetto agli altri perché, qualunque cosa avessi di diverso, questo fu ciò che mi ha permesso di vivere un amore come nessuno mai avrebbe potuto sperimentare. Anche quando tutti andavano via, Michael mi era sempre vicino, consolandomi. No… non avrei mai potuto desiderare di essere stata diversa da quello che sono.»
    Ero attonita e sbalordita. Non riuscivo a credere a ciò che quella vecchia signora mi stava raccontando. Si era persa nei suoi pensieri, rincorrendoli e sorridendo, qualche volta triste, ma qualche volta anche felice. E le emozioni si susseguivano con tale intensità sul suo volto rugoso che dopo un po’ non mi importò più che tutto quello fosse vero o meno, non mi importò che la sua storia fosse assurda. Ammirai il suo volto rapito e in quel momento il suo cuore comunicò con il mio.
    Lei aveva amato. Aveva amato sul serio. Non importava che l’oggetto del suo amore non avesse corporeità e consistenza: lei lo vedeva, lo sentiva, gli parlava.
    E quando qualcosa è reale per te, importa davvero che non lo sia anche per il mondo? Quando tutto ciò che cerchiamo e di cui abbiamo di bisogno si trova nella nostra testa, non siamo forse autorizzati a vivere quella gioia fino in fondo? Chi erano gli altri per privarci di quella segreta felicità della nostra mente e del nostro cuore?
    Mary sarebbe stata felice di vivere per sempre di quella illusione perché se nessuno le avesse mai detto come stavano le cose, avrebbe avuto il suo matrimonio, il suo marito perfetto e probabilmente la sua mente avrebbe partorito nuove allucinazioni sotto forma dei loro bambini. Invece le persone normali, pensando di fare il meglio per lei, avevano contaminato quel sogno, deturpandolo per sempre in modo che, in ogni caso, non sarebbe mai potuto tornare ad essere quello che era stato prima: l’illusione era svelata, la realtà era piombata prepotente nella mente e nell’animo della ragazza Mary costringendola a fare i conti con la sua diversità e strappandole per sempre qualsiasi gioia avesse mai potuto sperare di ottenere.
    La città attorno a noi si era, nel frattempo, risvegliata: era come se fossimo volate lontano, verso tempi e luoghi passati che non esistevano più nel mondo moderno.
    Fu un momento e tornammo ad essere di nuovo noi: la vecchietta, col suo amore impossibile, ed io, col mio amore perduto. Ma per la prima volta da mesi non mi sentii più oppressa, solo rassegnata, come se mi fossi finalmente svuotata di tutta la rabbia, il dolore, le lacrime, i dubbi, le incertezze e le angosce che mi avevano dominata dal giorno dell’abbandono.
    Finalmente sentivo di potere andare avanti, accettando qualunque cosa fosse venuta: era inutile perdere tempo a sviscerare i motivi e le ragioni, le mie e quelle di Nathan. Le cose erano semplicemente andate in quel modo e così avrei dovuto accettarle. Ora potevo smettere di attenderlo ogni giorno sulla soglia di casa, aspettando che mi facesse una telefonata, che mi chiamasse per nome.
    Mentre rimuginavo sulla mia vita, l’anziana signora si voltò e guardò alle mie spalle.
    «Mi hanno trovata» annunciò con un sorriso birichino.
    Girandomi a mia volta, per vedere a chi si riferisse, scorsi un uomo che si affrettava nella nostra direzione.
    «Signora Mary, mi ha fatto prendere un colpo! Non mi ero accorto che fosse uscita di casa!»
    «Non ti agitare Richard. Vedi che non è successo niente?» lo rimbeccò allegramente lei. «Ho fatto una passeggiata qua al parco e ho anche fatto amicizia con questa simpatica giovane. Irma, questo è Richard, il mio badante.» Mi indicò con un cenno della mano.
    Richard scosse la testa, tirò un sospiro e si rivolse di nuovo all’anziana donna: «Signora Mary, ci siamo solo io e lei qui. Sarà meglio tornare a casa, ora.»
    «Oh…» sospirò la signora, «capisco» disse. E mi sorrise calorosamente ma io ero ancora confusa: cosa stava succedendo?
    «Non agitarti, cara,» mi tranquillizzò «anche tu sei un prodotto della mia mente, non è forse così?»
    Nel momento in cui lo disse, di colpo compresi: io non ero vera. Ero sua, le appartenevo.
    «Perché allora…?» balbettai senza riuscire a concludere la frase.
    «Vorresti sapere cosa ci fai qui?» concluse per me come se avesse già fatto altre volte quel discorso. «Forse avevo solo bisogno di rivivere la mia storia, ogni tanto mi succede… in effetti, era un po’ strano che ti capissi così bene pur non avendoti mai incontrata.» Nella sua faccia si tinse di nuovo un’espressione mesta.
    Quando sollevò la testa e mi guardò negli occhi, seppi anche io ciò che sapeva lei perché del resto eravamo parte della stessa anima, sfaccettature diverse di una stessa mente che agiva attraverso percorsi inconsueti.
    Richard era rimasto pazientemente ad ascoltare lo scambio solitario della vecchia Mary: ormai era abituato ai suoi discorsi.
    «Di chi si tratta questa volta?» le chiese dolcemente.
    «Una giovane ragazza» gli rispose.
    «Perché l’ha creata?»
    La signora tacque un momento, in cerca delle parole che racchiudessero la verità appena appresa, in modo che potesse far capire anche a lui.
    «È colei che penso sarei stata se avessi condotto una vita normale; se io fossi stata normale», gli spiegò continuando a fissarmi. Del resto solo lei poteva vedermi.
    Finalmente lo guardò negli occhi e proseguì: «A volte il mio animo è oppresso dai dubbi, Richard. Mi consolo per aver scelto l’amore di Michael, dicendomi che, altrimenti, avrei potuto incontrare un Nathan ed avrei potuto essere infelice. Non mi è finita così male, eh?» aggiunse ammiccando.
    «Direi di no. Se lei è stata felice, ne è valsa la pena» rispose il giovane saggiamente, il volto addolcito da un sorriso. «Ora è pronta a tornare a casa?»
    «Che ne sarà di me?» sbottai allarmata. «Svanirò nel nulla, non appena avrai lasciato questo posto?»
    La vecchia sembrò riflettere sulla questione, poi mi disse: «Ormai sei nata e hai la tua storia. Puoi decidere tu stessa se scomparire o rimanere. Credo di averti resa indipendente poiché tu rappresenti il percorso della mia vita che avrei potuto intraprendere. Sei sempre stata un fantasma, ma ora sei qua: ti lascio la scelta, o forse la mia mente sceglierà per entrambe. Ma dopotutto sei parte di essa, quindi suppongo che il tuo desiderio sarà anche il mio. Un po’ di posto c’è sempre, in fin dei conti.»
    Capivo cosa mi stava dicendo: se fossi rimasta, sarei stata reale solo nella sua mente e avrei vissuto la mia vita nei percorsi della sua psiche. Sarei stata considerata vera o solo un’illusione, ma avrei potuto comunque condurre la mia esistenza, seppure in un regno di ombre. Anche Michael aveva compreso quale fosse la scelta? Si era accontentato di vivere solo per Mary perché lui era la parte di lei che voleva essere amata incondizionatamente? Era così: lui rappresentava il desiderio della giovane ragazza di vivere una storia d’amore unica e assoluta, passionale e coinvolgente, indistruttibile ed incorruttibile.
    «Perché qua?» le chiesi dopo un attimo di esitazione, a bruciapelo.
    «Venivo spesso in questo parco», mi spiegò, «su questa panchina ero solita passare i pomeriggi con il mio Michael.»
    Il vento soffiò leggero sollevando di lato la gonna della vecchia Mary e scompigliandole un po’ i capelli raccolti in una grigia crocchia.
    «Richard, credo che ora tu possa portarmi a casa, mi sento esausta» aggiunse dopo qualche minuto di silenzio. «Ci vediamo la prossima volta, Irma. Mi trovi spesso da queste parti» mi disse, piegando il capo.
    Feci un cenno e la salutai.
    L’avrei rivista ancora o forse no: questo rimaneva da vedere.
    Mary e Richard si voltarono per avviarsi verso casa, ma un dubbio insistente mi spinse a richiamare nuovamente la sua attenzione.
    «Volevo solo sapere… ecco, che fine ha fatto Michael ora?»
    Lei sorrise. Un sorriso felice, un sorriso smagliante, un sorriso che sapeva di segreti e di amore.
    «Lui è sempre con me» rispose, perdendosi con lo sguardo nell’aria vuota accanto a lei. «Non mi lascia mai.»
    Fu un momento che mi parve quasi di vedere la sagoma di un uomo al fianco della vecchia signora. Scossi la testa e quando tornai a guardare in quella direzione non c’era più nulla. Li vidi sparire verso l’uscita del parco e sospirai. Era arrivato il momento anche per me di tornare a casa.



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    One day, by chance, a great love story by Ryo13 (Monastero Mariarita) is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
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    Note e curiosità sulla storia:
    ATTENZIONE! SPOILER: Leggere solo dopo aver letto la shot!
    ♣ Questa shot è stata scritta per il concorso "Destini" indetto sul forum di EFP. Dovevamo scegliere un pacchetto (io ho preso quello "panchina") e ci sarebbe stata inviata una foto cui ci dovevamo ispirare per creare una storia d'amore, che recava anche l'anno in cui doveva essere ambientata (nel mio caso, era il 1927, anno in cui ho fatto incontrare i protagonisti per la prima volta ^^). Le regole erano che l'amore tra i protagonisti doveva finire per un errore oppure una paura di uno dei due e non dovevano avere l'occasione di un lieto fine, ma come ho detto la mia è una storia 'al contrario': nel capovolgimento che ho operato, l'errore e la paura che erano stati richiesti come causa della fine tragica della storia d'amore, non sono qui attribuiti alla protagonista che ama ma alle persone che la circondano. Non è lei a causare la fine del sogno, ma la sua famiglia perché sono appunto le persone "normali" che hanno timore della diversità e che quindi, con il proposito di fare "del bene", distruggono per sempre ogni speranza di felicità della protagonista.
    Irma è un'invenzione mentale dell'anziana signora, al pari di Michael: per questo il suo nome, in realtà, è l'anagramma di Mary. Se si legge con attenzione si può vedere come i pensieri di Irma, in realtà, potrebbero essere quelli di Mary, anzi, lo sono. Quando Irma riflette sulla sua storia finita con Nathan e accetta che le cose siano andate così e non vi può far nulla, in realtà quello rappresenta il pensiero dell'anziana signora che giunge alla conclusione che anche lei non avrebbe potuto far nulla di diverso: le cose sono andate così e bisogna accettarle... è tardi per i rimpianti.
    ♣ Parte di questo racconto è stato ispirato dal film A Beautiful Mind perché la protagonista si renderà conto che ciò che pensava fosse reale in realtà non lo è, ma ci sono molti punti che si discostano dal film, come per esempio il fatto che Mary vedrà crescere Michael assieme a lei e sarà solo quando capirà che è un'invenzione della sua mente che lui smetterà di farlo e rimarrà bloccato nell'ultimo ricordo che lei ha di lui come persona reale. Una volta rotta l'illusione, infatti, pur continuando ad alimentare le sue fantasie e vedendolo, non sarà più in grado di figurarselo da adulto e poi da vecchio.

    Edited by Ryo13 - 9/5/2014, 02:44
     
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    Rita ma è veramente una meraviglia!! Sul serito!! Ti sei superata!!
    Inizilamente credevo che Michael fosse un ragazzo povero, è per quel motivo non poteva presentarsi ai suoi genitori; invece, mi hai sorpreso completamente.
    Se i suoi genitori, come ha pensato Irma (o meglio come ha pensato lei stessa), non avessero fatto luce sulla sua malattia, sarebbe stata in grado di vivere una vita felice, anche se basata su un'illusione, ma pur sempre di felicità pura si sarebbe trattata.
    E' di una tristezza assurda il fatto che lei, nonostante, abbia provato a cambiare le cose, non sia stata in grado di dimenticarlo: ormai faceva parte della sua vita, del suo cuore e quindi per lei, almeno io la penso così, sarebbe stato come morire.
    Altra cosa che mi ha lasciato senza parole è stata quella di scoprire che Irma in realtà non è altro che un frutto dell'immaginazione della protagonista: mi ha resa veramente maliconica quando Irma le ha chiesto cosa ne sarebbe stato di lei, se sarebbe scomparsa oppure sarebbe rimasta "in vita" grazie all'immaginazione di lei. Per poi scoprire in realtà che Michael è ancora in vita e che quindi anche per Irma ci sarebbe stata questa possibilità.
    Veramente un'idea fantastica, che sei riuscita ad elaborare in modo veramente veramente eccelente.
    Mi accorgo solo ora di aver scritto un papiro , è solo che mi è piacuta veramente moltissimo.
    Hai i miei più sinceri complimenti, davvero!! *abbraccia forte forte*
    Un'altra cosa: durante la lettura dell tua OS ascoltavo come QUESTA CANZONE, prova ad ascoltarla, penso che sia molto adatta l testo ♥
     
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    Sanda! Non sai quanto mi ha commossa e resa felice il tuo commento ^///^
    Ci ho messo davvero l'anima in questa Shot... l'idea mi ha folgorata quando ho aperto il pacchetto che mi è stato mandato... c'era la foto di 2 bambini che si baciavano, l'anno 1927 e il soggetto attorno cui costruire la storia era un'anziana signora...
    Tra l'altro è stata la storia stessa a suggerirmi come evolvere gli eventi ^^ All'inizio aveva un altro finale, però poi non riuscivo a sentirla "completa" e pensandoci ad un tratto ho capito che anche Irma non poteva essere reale, che lei era solo un altro specchio attraverso cui Mary guardava la realtà... una lente che le mostrava l'altra strada, quella che non ha potuto percorrere...
    Mi sono sempre chiesta come ci apparirebbero le cose a noi se ci trovassimo davanti la concretizzazione di ciò che saremmo state se avessimo fatto una scelta diversa, se avessimo seguito un altro destino diverso da quello percorso...

    Per quanto riguarda la musica che mi hai suggerito di ascoltare... la trovo PERFETTA! Ha un ritmo che sussurra al testo, che è malinconico al punto giusto... davvero, mi piace tanto! tra l'altro si intitolo persino "time for us", "il tempo per noi".... cos'altro potrebbe descrivere meglio la relazione tra Mary e Michael?
    Credo proprio che metterò tra le note, nella scheda di presentazione, questo link, suggerendo ai prossimi lettori di ascoltare questa melodia durante la lettura! Grazie mille! <3
     
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    Ci ho messo davvero l'anima in questa Shot...

    E infatti si vede. Ho scritto solamente la verità nel mio commento.
    Sono contenta che ti sia piacuta la canzone <3
     
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    Grazie *///* la canzone è azzeccatissima! <3
     
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  6. *Madeline.
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    concordo ...è una storia davveroi molto ben scritta e soprattutto particolare...
    si vede che ti sei impegnata...e ti faccio i complimenti perchè mi ha davvero rapita!
     
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    Gnah! Che storia particolare @.@ sicuramente piena di sorprese xD non mi aspettavo nulla di tutto quello che è successo D:
    Brava tesoro ;3
     
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    Grazie Madeline, grazie Bea! XDD
     
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    Ale, posto qua il tuo commento alla storia che mi hai inviato tramite PM perché devo cancellare i messaggi ma non voglio che si perda visto che è così bello! Ti ringrazio ancora! XDD

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    @QUOTE= Shion*, 22/6/2012, 14:51

    Ho letto la tua oneshot e posso dire solo una cosa: spero che tu vinca!!
    E' scritta benissimo e ti faccio i complimenti sopratutto per come hai impostato la storia. Credimi, hai colto pienamente la traccia che ti era stata data per il contest e sei riuscita a svilupparla in modo eccellente. Mi è piaciuto soprattutto il fatto che non ha solo "un colpo di scena" ma ne possiede ben 2 *___* All'inizio non avrei mai immaginato che il bambino e poi ragazzo amato dalla vecchietta negli anni '30, fosse solo una sua immaginazione e questo già mi era piaciuto moltissimo non appena ero giunta a comprenderlo, ma ciò che mi ha lasciata ancora più senza parole è stata la giovane dei nostri tempi! Scoprire che anche lei era frutto della fantasia della vecchietta spiazzerà qualunque lettore ^^ Inoltre far entrare in scena un personaggio secondario, come il giovane badante che chiede alla vecchia con chi sta parlando se accanto a lei non vi era seduto nessuno, mi ha commossa ^^
    Il finale, poi, lo trovo bellissimo. Questa storia insegna che, alla fin fine, i matti non esistono ma esiste solo un modo diverso di approcciarsi ai propri sogni. La vecchietta sognava un amore talmente speciale e tutto suo da pensare che fosse vero, ed il fatto che i suoi genitori le avessero impedito di vivere quel sogno, creò in lei una rottura tale che il ragazzo immaginato ed amato restò per sempre giovane nella sua mente e non riuscì ad invecchiare con lei, come invece avrebbe voluto.
    Davvero una bellissima oneshot ed una bellissima trama =)
    Ma cosa si vince come premio? La possibilità di vederla pubblicata, oppure è un contest come quello che si fa sul passion?
    Ad ogni modo, premio o non premio, spero che la apprezzeranno anche gli altri perché merita molto =)

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  10. violetsaturn
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    Davvero bellissima e concordo con tutto quello che è stato già detto, il doppio colpo di scena è un' idea fenomenale!
     
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    Grazie! XDD Sono davvero felice che sia piaciuta anche a te! *w*
     
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  12. lee‚
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    Come ti avevo promesso, ho letto questa tua shot, anzi, grazie per avermela consigliata perchè è stata davvero una piacevole lettura!
    L'ho adorata, davvero! Soprattutto alla fine, quando si è capito che gli avvenimenti accaduti attorno alla vecchietta, Mary, fossero frutto della sua immaginazione. Perchè fanno capire quanto la sua dolcezza sia infinita, e quanto il suo amore sia potente, quasi da riuscire a sconfiggere la realtà che gli viene sbattuta prepotentemente in faccia.
    E' bello vedere come, anche dopo l'evidenzia, lei continui a credere nell'amore di Michael, nei suoi occhi e nei suoi sorrisi.
    Ed è molto bello anche il personaggio di Irma, come se la signora volesse darsi anche una seconda possibilità, come a vedere "cosa sarebbe successo se..." e lei riesce proprio a dargli forma creando una ragazza e una vita intera.
    Una cosa che mi ha colpito in realtà, è stato come all'inizio Irma, veda proprio la vecchietta come qualcosa di etereo, come se proprio la sua "creatrice" fosse un fantasma o una sua immaginazione, e lo scoprire che era il contrario invece, è stato bello e molto inaspettato. xD
    E' stato davvero stupendo, dall'inizio alla fine, anche perchè il lettore, o almeno io, non mi sono aspettata proprio niente di quello che accade.
    O meglio, la presenza di Michael quando dici:
    CITAZIONE
    «Perché Michael non voleva incontrare i tuoi parenti?» domandai.
    «Beh, mia cara, ora mi rendo conto che non poteva…»

    E' un po' un'anticipazione di quello che accade poi, nel senso che, si intuisce un po' che possa essere o frutto della sua fantasia o un fantasma, ma quando passi a Irma. Bè, li davvero non ce lo si aspetta!! *^* E sembra un immergersi ancora di più nella vita e nella mente di Mary, come se anche il lettore si fosse catapultato compleatamente dentro di lei, e avesse creduto per un po' al suo mondo.
    Davvero complimentissimi Rita!! ♥

    Edited by lee‚ - 12/12/2012, 13:46
     
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    Lau, non riesco a dirti quanto il tuo commento e la tua analisi del testo mi abbiano commosso! çwç
    Parola per parola ed impressione per impressione, hai svelato tanto di quello che io volevo si svelasse :)
    Ho studiato praticamente ogni parola di dialogo di questa shot perché non fosse una semplice frase ma fosse qualcosa di più e soprattutto collegasse ed uniformasse tutto il testo ^^
    Irma è proprio il tramite col quale noi "ciechi di realtà" di accostiamo ad una persona "diversa" come Mary; e contemporaneamente, si rivela anche come tramite della vecchia per esprimere quella "normalità" che non ha potuto avere, verso cui guarda con curiosità mista a dolore (perché l'essere diversa ha segnato i rapporti con la sua famiglia, oltre che la sua vita).
    Nel testo c'è via via una progressione di unità e comunione tra le parti contrastanti: Irma come normalità e Mary come diversità... l'una integrata al mondo ed alla realtà, e l'altra estarnea ed in comunicazione con un universo NON fisico.
    E al progredire della stroria le parti si invertono: Irma è l'illusione, l'espressione di un mondo non fisico ed è fondamentalmente "diversa". E, dunque, Mary rientra in contatto con la realtà (quando capisce che Irma è frutto della sua mente) e soprattutto esprime un ragionamento razionale che la rende "normale" (lei è ben consapevole della sua malattia e ci convive razionalmente senza però abbandonare la sua sensibilità romantica).
    Per questo all'inizio Irma guarda a Mary quasi come fosse un fantasma... mentre poi avviene il riconoscimento e la comprensione... ed il fantasma si riconosce essere lei! <3
    Ma come ho detto: Irma è parte di Mary. Si tratta della stessa mente, le stesse emozioni prima estraniate in sé e poi riconosciute! Tramite il loro incontro ed il successivo dialogo, la vecchia ha la possibilità di mettere in comunicazione le forze contrastanti della sua anima, i dubbi, le paure, le perplessità... per, infine, riconoscere l'unica verità quale è giusto a conoscerla: non importa cosa sia reale e cosa no. Che strada avrebbe potuto intraprendere, quale vita poteva avere. Lei HA VISSUTO la sua. E questa vita le ha dato la stessa soddisfazione che poteva trarre da una diversa. Ha avuto la medesima dose di amore e dolore che tutti gli altri possono avere, chi più chi meno.
    E alla fine, il messaggio che ho voluto lanciare si allarga al mondo di tutti: Siamo su questa terra, prigionieri di un tempo limitato, e si fa quel che si può. Bisogna apprezzare quello che si ha o che si è fatto, senza crucciarsi troppo di quello che avremmo potuto fare o avere perché le starde NON intraprese sono come fantasmi nella nostra mente, mentre di CERTO E VERO abbiamo ciò che abbiamo vissuto!
     
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    «‎Changing eyes»

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    Arriva un momento in cui uno scrittore deve mettere tutto se stesso all'interno di parole che macchiano il foglio bianco. In questo caso sono le tue parole che scivolano nel lettore. Dall'inizio, assolutamente. Non è mai facile scegliere le frasi giuste per l'incipit perfetto, ma il gioco che hai instaurato nei dialoghi delle conversazioni credo che sia geniale. Come lo hai anche definito tu, malinconico, ma oserei dire geniale. Hai parlato dei personaggi in modo esaustivo, lasciando comunque il colpo di scena sempre lì, in agguato. Ma se posso permettermi, vorrei citare il mio pezzo preferito:

    CITAZIONE
    La luce del mattino rischiarava il marciapiede vuoto mentre nel silenzio rimbombava il suono dei miei passi frettolosi. Avevo bisogno di fuggire per un poco, di staccare la spina.

    questo è il pezzo che più di tutti mi ha fatto perdere ed immaginare la scena.
     
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  15. sylvain.
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    Bellissima. Per me rappresenta la realtà. Molte volte mi sono soffermata ad immaginarmi come la mia vita sarebbe stata se avessi preso strade diverse. Fidanzato diverso, scuola diversa e amici diversi. Il tutto parte con un "se io avessi potuto.." certo, è sempre un'immaginazione, ma alcune volte è talmente reale che la mattina non sai se quello che vivi è la continuazione del sogno oppure sei nelle realtà. Credo che l'anziana signora desiderasse talmente tanto trovare il vero amore con le caratteristiche che desiderava che alla fine solo nella sua testa è riuscito a trovarlo.
     
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18 replies since 21/6/2012, 13:09   313 views
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