Esitazioni Parallele

a capitoli |fantasy, drammatico, romantico | verde

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  1. angelmoonandmoon
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    Esitazioni Parallele



    _autore: angelmoonandmoon
    _genere: fantasy, drammatico, romantico
    _rating: verde
    _tipologia: a capitoli
    _breve descrizione: Un mondo parallelo a quello della Terra = Un mondo Perfetto.
    100 cavie = 100 giovanissimi ragazzi venduti alla PCC ( Perfect Changing Corporation ).
    10.000.000.000 di dollari = 1.000.000.000 di dollari sborsati per comprare cittadini sani americani.

    La PCC li portò con sé sulla Terra Parallela.
    Un set esperto di medici lavorò ininterrottamente per 2 anni.
    Studiò ogni singolo corpo, acquisì l’utilizzo di nuove tecniche chirurgiche e realizzò macchinari sofisticatissimi e costosissimi.
    Si procedette all’operazione.
    Qualcosa andò storto, le cavie erano state potenziate ma non come elencato sul piano segreto denominato “CO Changin Operation”.
    Le cavie trasformate erano bellissime, avevano qualità superiori alla media, intelligenza artificiale superiore ai computer della NASA, caratteristiche fisiche incredibili. Erano capaci di resistere al gelo senza mai intirizzirsi. Potevano smettere di mangiare e bere senza nessuna conseguenza visibile sul loro corpo. Potevano limitarsi a leggere un articolo per immagazzinarlo completamente e non scordare mai più l’informazione acquisita. Riuscivano a raggiungere la perfezione in ogni campo: Arte, Musica, Cinema, Sport. Ma qualcosa era andato storto : le cavie presentavano ancora stati emotivi che gli consentivano di provare sentimenti come gelosia, odio, sofferenza. Erano ancora capaci di provocare GUERRE. Il piano della PCC fallì, le cavie tornarono ai legittimi genitori/tutori/ finché ...
    _note: Avevo deciso di smetterla con la scrittura. Non potevo più rovinarmi, ridurmi quasi a piangere perchè non riuscivo a trovare la parola esatta, a correggere tutto fino alla sfinimento, a tagliare e limare fino a rendere la pagina vuota, bianca. In questo contesto così deprimente e sgradevole, è nato Esitazioni Parallele. Ho detto basta a racconti ingombranti e difficili. Ho detto addio a esperimenti mal riusciti. Non avevo mai sentito prima d'ora quest'impeto, quest'urgenza di immergermi in qualcosa così semplice. Creare qualcosa di nuovo e mai provato, più scorrevole. Ho lasciato che tutto ciò che avessi intorno, libri, musica, amicizie, conoscenti ecc... mi ispirassero. A volte, lo ammetto, ho paura di ritornare sulla vecchia strada, di combinare un disastro. Ma stavolta non accadrà, ne sono sicuro. Spero solo di poter migliorare perchè sono solo all'inizio.
    Buona lettura a tutti


    Capitolo 1 - Nessuna Appartenenza

    Prologo:

    CARL

    paul

    TASH



    50 anni fa venne fondata in gran segreto la Perfect and Changing Corporation. I membri che ne facevano parte, avvocati, presidenti, finanzieri, scienziati, giudici, uomini dalle infinite risorse finanziarie e intellettive, impiegati in ogni aspetto della vita sociale, si riunirono per stabilire le finalità ultime del loro piano.

    L’obiettivo principale era quello di duplicare perfettamente il pianeta Terra. Impiantarono nello spazio, parallelamente alla Terra, delle basi di sostanze liquefatte contenute in dei tubi d’acciaio inossidabili invisibili; erano visibili soltanto attraverso i satelliti della PCC. La dottoressa Khan era responsabile del progetto e della spedizione: era lei che era riuscita a creare la terra in miniatura, priva però delle molecole Dna, Rna e Tna che permettono la comparsa di esseri viventi.

    Venne riprodotto un minuscolo Big Bang, i tubi vennero sganciati, il liquido si innescò e la nuova Terra cominciò a formarsi.

    La grande rivoluzione consisteva nel fatto che il pianeta liquefatto seguiva lo stesso procedimento di formazione della Terra, ma ad una velocità incredibile. All’inizio si pensò che quella scoperta dovesse essere utilizzata per seguire dettagliatamente il cambiamento della Terra e dunque avrebbe consentito di scoprire la sua fine. Il satellite avrebbe mostrato nel laboratorio della PSC per filo e per segno il procedimento di evoluzione.

    Quando questo venne fatto, ci si accorse però dell’ inutilità del progetto. Era impossibile comparare gli esiti di progresso di quel pianeta ( denominato Psyco ) con la Terra, semplicemente perché esso era vuoto. Non era stato vittima dei peggiori disastri ambientali che gli uomini avevano creato. Non esisteva il buco dell’ozono, non c'era nessuna pioggia acida o effetto serra.
    Era Un Paradiso Terrestre disabitato.


    Il Presidente della PCC di allora, grande scienziato e soprattutto uomo umanitario, Carl Junger, venne sostituito da Paul Lavin, francese, ricco finanziere i cui guadagni si attestavano sul miliardo di dollari netto al minuto.

    Egli riunì tutti i membri e parlò loro chiaramente sulle direzioni che da lì a poco la PCI avrebbe seguito.

    Il manifesto che ne venne fuori fu capace di rivoluzionare interamente la storia dell’umanità fino ad allora creata.


    - Sappiamo che la Terra non può più sopportare il carico di gente che la abita. Bisogna assolutamente che Psyco venga colonizzato e abitato. Non avrebbe senso creare nuove forme di vita, quando possiamo utilizzare forme di vita preesistenti. Gli esseri umani della Terra, per l’appunto. Ho delle idee rivoluzionarie: dobbiamo evitare che accada quello che la Terra sta vivendo. Dobbiamo creare degli esseri perfetti, capaci di essere autosufficienti. Non dovranno conoscere il significato della parola “inquinamento”. Dovranno essere tutti vegani, mangiare le capsule sostanzillius che vi annuncio felicemente di aver portato a compimento – La dottoressa Khan, che era accanto a lui, tirò fuori una capsula di plastica, premette un piccolo pulsantino, attese 1 minuto e al termine un suono si diffuse per tutta l’aula. Prese un piatto, aprì la capsula e sul piattino cadde ordinatamente della pasta con polpette e sugo.

    - Il tutto è altamente liofilizzato, a lunga conservazione, e le polpette che vedete sono state create in laboratorio dalla signorina Khan che ancora una
    volta è riuscita a stupirci. Sono più sane di tutta quella robaccia che ci ritroviamo a mangiare oggi giorno ovunque -

    Poi li guardò seriamente, uno per uno, negli occhi, ed esclamò solennemente – Ma soprattutto, non dovranno più essere capaci di creare guerre.

    La riunione durò ore e i dibattiti furono molteplici. Dubbi e ipotesi nacquero, ma il consenso si diffuse presto così che ogni dissenso venne a scemarsi
    immediatamente. Levin riusciva attirare tutti a sé, era affascinante e carismatico, capace di dire sempre la cosa giusta. Alla fine dell’assemblea ci
    fu un applauso generale e si procedette subito con i preparativi per la missione. Venne creata la prima città e vennero comprate per 10.000.000.000 di dollari 100 cavie in tutto il mondo. Infatti un ramo della Corporazione si occupava di prendere i bambini che i genitori, invece di abbandonare o abortire, decidevano di dare, consci del progetto che stava per essere messo in atto. I neonati Avevano pochissimi anni di vita, 2 o 3 al massimo.

    Il contratto che le famiglie firmarono era chiaro e conciso: la PCC avrebbe trattenuto la prole per tutto il tempo che avessero voluto e senza che avessero potuto opporre resistenza. Così le giovanissime cavie vennero portate via su Psyco. Qui vennero allevate nel benessere, nella gioia e nella serenità più totale. Le badanti soddisfacevano ogni loro piccolo desiderio.

    Due volte a settimana venivano portati all’Hospital, luogo in cui venivano esaminati attentamente.
    Un set esperto di medici lavorò ininterrottamente per 2 anni. Studiò ogni singolo corpo, acquisì l’utilizzo di nuove tecniche
    chirurgiche e realizzò macchinari sofisticatissimi e costosissimi. Si procedette all’operazione. Qualcosa andò storto, le cavie erano state
    potenziate ma non come elencato sul piano segreto denominato “ PCO Perfect
    Changing Operation”.

    Le cavie trasformate erano bellissime, avevano qualità superiori alla media, intelligenza artificiale superiore ai computer della
    NASA, caratteristiche fisiche incredibili. Erano capaci di resistere al gelo senza mai intirizzirsi. Potevano smettere di mangiare e bere senza nessuna
    conseguenza visibile. Potevano limitarsi a leggere un articolo per immagazzinarlo completamente e non scordare mai più l’informazione acquisita.
    Riuscivano a raggiungere la perfezione in ogni campo: Arte, Musica, Cinema, Sport. Ma qualcosa era andato storto : le cavie presentavano ancora stati emotivi che gli consentivano di provare sentimenti come gelosia, odio, sofferenza. Erano ancora capaci di provocare GUERRE. Il piano della PCC fallì, le cavie tornarono ai legittimi genitori. Non tutti i però vollero accogliere nuovamente la propria prole in casa, o altri genitori erano impossibilitati a farlo, quindi si cercarono delle soluzioni alternative. Ognuno, in un modo o nell’altro, venne restituito alla Terra Originaria, ma avrebbe però continuato a vivere nel suo nuovo corpo Perfetto.
    Qual era il loro posto? A cosa appartenevano esattamente? Alla Terra o a Psyco?




    FINE PROLOGO


    INIZIO PRIMO TEMPO






    emma

    joseph



    Emma si guardava attorno, incredula. Stavolta era veramente la fine, quella che si era sempre prospettata sin dall’inizio dei giorni e che lei aveva ostinatamente rimandato.

    Sapeva che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato, ma in cuor suo non ci aveva mai realmente creduto. Aveva scacciato l’idea come se non le
    appartenesse, come se avesse a disposizione ancora tutto il tempo del mondo prima di poter prendere in seria considerazione la cosa.

    Camminava silenziosamente tra i campi di frumento, mille flashback nella sua testa: la prima volta che lo aveva visto, di sfuggita, a scuola. La prima volta che si decise a parlargli, e poi solo sorrisi sfocati, una casa in campagna, un abbraccio e un bacio, il più dolce dei baci.

    La casa del suo flashback divenne realtà, si stanziava proprio davanti a lei, possente, irremovibile. Mattoncini rossicci, un po’ rovinati, e gigli, gigli ovunque. Emma si sentiva pervasa da quell’odore, come se ogni giglio nel giardino le avesse riempito la bocca per intero e si fosse incastrato tra la gola e le narici.

    Era il suo fiore preferito, quello che lui gli aveva regalato la fatidica notte in cui si innamorarono.

    Provando a non vomitare per quella fragranza troppo forte si arrampicò alla svelta su per l’albero di campagna facendo attenzione a non tagliarsi. Riuscì ad aggrapparsi ad un ramo solido su cui si poggiò senza nessuna esitazione. Quel ramo possente dava la visuale direttamente sulla stanza di un giovane ragazzo che riposava su un letto a due piazze.

    - Ti guardo e vedo la mia vita come sarebbe stata – Le lacrime solcavano il viso di Emma, velocemente, senza alcuna insicurezza. I gigli cominciarono a prendere fuoco, tutta la casa stava per chiudersi in una morsa infernale. Emma stava ricordando i giorni che furono. Quando il fumo avvampò per tutta la campagna e loro due furono costretti a scappare.

    - Riesco a vedere ancora quel viso spettrale nel fumo. Qualcuno sta dando fuoco ai campi di frumento, mentre mi porti a casa, al sicuro – Furtivamente percorse in punta di piedi il ramo e aprì la finestra facendo attenzione a non provocare alcun rumore. Si sedette sul letto e lo guardò trattenendo le lacrime.

    - L’odore del grano bruciato da adesso evocherà te e questo posto. Amore mio, questo è il posto in cui voglio stare. Questo è quello di cui ho bisogno ma solo ora ho capito che non sarà mai mio -

    Il brivido e il dolore, oh il brivido e il dolore lasciarono per la prima volta Emma con un vuoto che le serrava il cuore come una pistola puntata dritta
    contro la sua tempia. Era sola e non aveva altra scelta. Lui non sarebbe più stato suo. Ma lo era mai stato, in fin dei conti?

    - Ti vorrei come nei miei sogni, non come nella realtà – Si avvicino delicatamente al suo volto, lo accarezzò e poi lo baciò, consapevole che quella sarebbe stata l’ultima volta. Mentre usciva dalla finestra sussurrò: - Questo goffo bacio di addio mi spezza il cuore. Ma devo guardare oltre, devo farlo per riuscire a farti sopravvivere. Non sarai mai mio, non potrai mai esserlo. La cosa più difficile è immaginare te, felice senza di me. Mi distrugge il cuore –
    Il corpo del giovane si mosse, Emma temeva di averlo svegliato ma egli si voltò dall’altra parte posando la guancia contro il cuscino scavato che
    accoglieva perfettamente la sua gota. Il silenzio tombale ritornò a diffondersi per la camera. Lo guardò un’ultima volta, scrutando i suoi capelli biondi, i suoi occhi azzurri che dispiegavano la terra e il cielo, contemporaneamente erano mare e cielo, erano l’infinito, quella sicurezza che Emma aveva sempre cercato. Erano tutto.

    Aprì la finestra mentre piangeva senza riuscire più a fermarsi, e facendo rumore scese giù per l’albero e corse, corse per un tratto che le sembrò infinito. Appena arrivò alla sua macchina si accasciò lentamente per terra. Lui non l’avrebbe inseguita, e anche se l’avesse fatto che cosa sarebbe cambiato? Aveva fatto rumore di proposito, voleva che lui la inseguisse, che reagisse. Ma come poteva? Lei lo aveva lasciato e aveva così finito per rovinare l’unica cosa bella della sua vita. Ma era per il loro bene. Lui non le aveva chiesto neanche le motivazioni, era scomparso, non si era fatto più vedere e Emma aveva scoperto che aveva cominciato a saltare gli allenamenti di calcio e le lezioni di scuola. Non era più lo stesso, ma in un modo o nell’altro, senza vederla , gli sarebbe passata. Così almeno lei sperava.

    Aprì la portiera delle macchina. Accese il cellulare e lesse ancora una volta, stavolta più attentamente, il messaggio di posta elettronica che le era
    arrivato il giorno prima:

    cell+emma



    Scaricò gli allegati, li estrasse e li lesse dettagliatamente – Addio per sempre Joseph– Doveva sbrigarsi a raggiungere il suo appartamento, prendere le cose più importanti, caricare la radio trasmettitrice e cercare di metterla in funzione. Era arrivata l’ora di mettersi in contatto con qualcuno dei suoi vecchi amici. Il passato non poteva essere dimenticato, soprattutto se a tirarlo fuori era chi aveva tentato in ogni modo di nasconderlo e oscurarlo.

    La decappottabile rossa sfrecciò veloce e in un batter d’occhio uscì fuori dalla campagna per raggiungere la città. Emma non era mai stata più pronta di quel momento in tutta la sua vita.

    FINE PRIMO TEMPO
    INIZIO SECONDO TEMPO



    mark




    La luce filtrava attraverso la finestra, colpiva il suo volto che ancora una volta non riusciva a reagire.

    Era reduce da una delle sue solite crisi. Sempre fastidiose, sempre repellenti, senza mai tregua. Pretendevano di possedere il suo corpo e controllarlo a loro piacimento. Ogni suo problema, probabilmente, nasceva da queste crisi, la cui origine è sconosciuta, ed è nascosta, intrappolata, nel suo subconscio.

    Aveva provato più e più volte ad evitarle. Aveva fatto progetti di vita, aveva aperto gli occhi rivolgendoli verso il cielo cristallino senza risolvere mai
    nulla.

    Li fissava al cielo senza mai crederci veramente. Si sentiva a disagio, si sentiva incoerente, un fallito, una persona assolutamente inutile.

    Era tornato a casa disperato, si era buttato subito a letto e quando si era alzato aveva lasciato il suo cuore su quel letto. Pensava:

    – Cuore, sei fortunato ad avere ancora un tetto sopra la testa. – E in effetti esso era in qualche modo protetto, niente poteva distruggerlo. Aveva tolto via le coperta di lana pesante e subito dopo anche il lenzuolo. Sopra il materasso aveva riposto il suo cuore, e poi aveva rifatto velocemente il letto. Lo aveva nascosto perché aveva deciso che qualcosa doveva cambiare. Non avrebbe dovuto più avere un cuore, dimenticarlo per sopravvivere, lasciarlo per vivere.

    Si alzò e si guardò allo specchio: era diverso. I capelli castano scuro e gli occhi blu erano ancora lì, ma il ragazzo che c’era sempre stato era solo una
    vecchia visione sbiadita. Le fattezze corporee uguali, le sue emozioni sfaldate.



    Prese le valigie e scese le scale. I suoi genitori lo aspettavano, erano pronti per accompagnarlo in stazione. Il giorno che tutti gli altri avevano aspettato impazientemente era arrivato, ma per lui non costituiva nessuna fonte di gioia. Come si può essere così impreparati alla vita? Così poco vitali, di fronte a qualcosa che deve essere vissuto con entusiasmo e gioia?

    I suoi compagni di classe lo avevano convinto a partecipare affinché si potesse raggiungere il numero minimo per organizzare il viaggio.

    Raggiunse il gruppo, e i loro volti erano sensibilmente irriconoscibili: grandi sorrisi, preoccupazioni sepolte. Tutto aveva trovato evidentemente il senso che si dovrebbe dare alle cose. Il tutto attenuato da questo viaggio, ogni tensione nella loro vita, ogni pesantezza, svanita.

    La sua tristezza in quel dato momento aveva raggiunto ritmi disarmanti, era esplosa vitale e quel viaggio tanto agognato dagli altri costituiva per lui un
    motivo di disagio. Doversi confrontare con altre persone, doversi muovere tra di essi, camminare, zoppicare, cadere, era un’attrattiva poco invitante. Ma non poteva inventare scuse, era lì e ormai nulla poteva cambiare le circostanze. Così salì su quel treno, silenzioso, e occupò la sua cabina. Aveva 17 anni , e stava vivendo il periodo più brutto in assoluto della sua vita. Aveva appena perso il suo migliore amico, e la ferita ancora aperta aveva assunto dimensioni più grandi del previsto. Aveva perso interesse per tutto, si ero ridotto in un corpo che camminava, o, per meglio dire, tentennava in eterno, ancora e ancora, per cercare di trovare un senso alla sua vita.

    Una volta occupata la cuccetta dispose distrattamente le valigie sul cofano e si allungò sul lettino blu, scomodo e poco invitante, che poco si conciliava con il suo sonno. Nessuno degli altri ragazzi si rese conto della sua situazione, ed era lì in balia di un destino che reputava crudele.

    “Nessuno si avvicinava neanche per dirmi – Come stai? – Questo mi faceva soffrire più di ogni altra cosa, essere ignorato, completamente dimenticato.

    Loro ridevano, io ero silente. Loro scherzavano, io ero incorporeo. “

    Improvvisamente il suo cellulare squillò e quasi svogliatamente aprì il messaggio di posta elettronica che gli era appena arrivato :



    cell+mark



    Improvvisamente si alzò dalla cuccetta e uscì fuori. – Non posso più partire - urlò.

    - Non posso più partire - Quasi piroettando si gettò tra le braccia dei genitori, che non capivano cosa stesse succedendo. Mark gli mostrò l’email,
    senza capire se fosse uno scherzo o altro, ed è esclamò – Sembra roba seria. Voi ne sapete qualcosa? -

    Le facce dei genitori sbiancarono e riuscirono solo a pronunciare – Vai a prendere i bagagli. Dobbiamo tornare immediatamente a casa-

    Fine Episodio.


    Edited by *Ainsel - 28/3/2013, 10:46
     
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  2. TashunkaWitko
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    Hai molta fantasia e capacità di elaborare bene ciò che vuoi narrare.
    Ottimo modo di descrivere tutto ciò che appartiene all'ambito scientifico.
    Secondo me rendi meno nelle descrizioni dei luoghi: prova a scrivere qualcosa soffermandoti su questi particolari per poi inserirli all'interno dei tuoi racconti.
    Non disperarti mai se non riesci a scrivere e non rinunciare!
    Ti invito a perfezionare il "labor limae": ci sono molte cose che potresti eliminare, e non mi riferisco alla narrazione, ma a parole superflue: ad esempio ho notato che in un periodo hai utilizzato molti "loro".
    Cerca di variare e di rendere il periodo più scorrevole.
    Attento ad alcuni errori. Ci sono alcuni verbi che reggono un soggetto in terza persona singolare e però sono qui inseriti con la prima: es: sentii al posto di sentì (o cose simili): questi sono errori che puoi facilmente evitare.
    In complesso mi è piaciuta e attenderò altri capitoli.
    Ti consiglio solo di fare attenzione alle cose che ho detto.
    Mi ripeto nel dirti di non smettere e di provare sempre a migliorare. Credo che nessuno sul forum sia uno scrittore di fama e siamo tutti qui per migliorarci e come hai detto tu nella tua presentazione: per condividere la passione della scrittura.
    Buon lavoro Angelo.
     
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  3. angelmoonandmoon
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    CITAZIONE (TashunkaWitko @ 25/3/2013, 18:38) 
    Hai molta fantasia e capacità di elaborare bene ciò che vuoi narrare.
    Ottimo modo di descrivere tutto ciò che appartiene all'ambito scientifico.
    Secondo me rendi meno nelle descrizioni dei luoghi: prova a scrivere qualcosa soffermandoti su questi particolari per poi inserirli all'interno dei tuoi racconti.
    Non disperarti mai se non riesci a scrivere e non rinunciare!
    Ti invito a perfezionare il "labor limae": ci sono molte cose che potresti eliminare, e non mi riferisco alla narrazione, ma a parole superflue: ad esempio ho notato che in un periodo hai utilizzato molti "loro".
    Cerca di variare e di rendere il periodo più scorrevole.
    Attento ad alcuni errori. Ci sono alcuni verbi che reggono un soggetto in terza persona singolare e però sono qui inseriti con la prima: es: sentii al posto di sentì (o cose simili): questi sono errori che puoi facilmente evitare.
    In complesso mi è piaciuta e attenderò altri capitoli.
    Ti consiglio solo di fare attenzione alle cose che ho detto.
    Mi ripeto nel dirti di non smettere e di provare sempre a migliorare. Credo che nessuno sul forum sia uno scrittore di fama e siamo tutti qui per migliorarci e come hai detto tu nella tua presentazione: per condividere la passione della scrittura.
    Buon lavoro Angelo.

    Awww *-* grazie mille per i complimenti.
    La descrizione dei luoghi non è il mio forte ( a volte non mi ci soffermo neanche ) ma spero di poterti far ricredere con i prossimi capitoli, se inserirò qualche bella descrizione.
    Quella frase piena di loro è OSCENA. Ti assicuro che l'avevo corretta ma poi non ho salvato il file... Improponibile a dir poco :/ l'ho subito modificata, e ho anche notato i due verbi con -ii invece di -ì . Senza parole, meno male che mi hai fatto notare questi strafalcioni, te ne sono grato.
    Grazie mille Luca!!
     
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  4. Fgbdu
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    Prologo interessante, hai dato un'ottima spiegazione sui punti focali della tua storia. Manca ancora qualcosa nelle prime due parti, forse una fluidità maggiore e una cura nei particolari più elevata, come negli ambienti mentre i pensieri e la personalità dei personaggi li trovo abbastanza buoni, ma in certi punti fin troppo allungati.
    Secondo me c'è ancora molto da fare ma ciò non toglie che quelle e-mail ricevute dai due personaggi mi hanno incuriosito e la trama mi sembra molto buona.
     
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  5. angelmoonandmoon
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    CITAZIONE (Fgbdu @ 26/3/2013, 14:05) 
    Prologo interessante, hai dato un'ottima spiegazione sui punti focali della tua storia. Manca ancora qualcosa nelle prime due parti, forse una fluidità maggiore e una cura nei particolari più elevata, come negli ambienti mentre i pensieri e la personalità dei personaggi li trovo abbastanza buoni, ma in certi punti fin troppo allungati.
    Secondo me c'è ancora molto da fare ma ciò non toglie che quelle e-mail ricevute dai due personaggi mi hanno incuriosito e la trama mi sembra molto buona.

    Grazie mille. Diciamo che la cosa che mi preme di più, nei miei scritti, è far capire la psicologia interna dei personaggi e le emozioni che vivono. Di solito preferisco che sia il lettore a farsi un'idea di quello che si trova davanti, i personaggi esteticamente e i luoghi.
    Suppongo dipenda dal proprio stile di scrittura.

    Se quei pensieri ti sembrano troppo lunghi, allora avrai molto da ridire in futuro. E' la cosa che mi piace di più in uno scritto...

    Comunque, ovviamente, so di avere moooooolto da fare come hai detto, speriamo bene *è* E ancora grazie mille *-*
     
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  6. angelmoonandmoon
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    Capitolo 2 - Cuori dal passato



    cuori+dal+passato



    Prologo



    TASH



    paul




    Quando l’operazione terminò, i visi dei medici divennero raggianti come non mai. Tutti erano sicuri che l’operazione avesse raggiunto i risultati sperati, anzi pensavano di aver valicato ogni barriera scientifica possibile ed immaginabile.

    Il volto della dottoressa Khan sembrava brillare e risplendere più di tutti gli altri. Questa era stata la più grande occasione che avesse mai avuto e l’aveva sfruttata al massimo. Era stata messa a capo non di un'equipe medica qualunque, ma di una cerchia pregiata di medici, l’élite della società scientifica americana e europea. Ovunque si girasse riusciva a distinguere visi noti, vincitori di Premi Nobel, medici che avevano cambiato l’umanità e che continuavano a ringraziarla senza fermarsi:
    -Complimenti Tash- le diceva tutto sorridente Noel Smith, premio Nobel per la medicina.
    - Bravissima dottoressa Khan-
    -Senza di lei tutto questo non sarebbe stato possibile -
    Il suo sogno si era realizzato e adesso anche lei, finalmente, faceva parte di quella cerchia.

    - Abbiamo finito la prima sessione di operazioni. Ne mancano altre 5, per un totale di 80. Vada a riposarsi, la prego. Domani sarà un’altra giornata lunga ed estenuante. La macchina la sta aspettando qui fuori- Tash ringraziò la segretaria, e lasciò il locale fuori dal quale sostava una lunga limousine nera.

    Quando tornò a casa, poggiò delicatamente gli strumenti di lavoro nella borsa automatizzata che si richiuse docile ad un doppio tocco delle sue dita.
    Si sciacquò profondamente le mani e il viso, ed entrò finalmente in camera.
    Paul era lì, e l’aspettava come non l’aveva mai aspettata in quegli ultimi mesi:

    - Oggi mi hai reso profondamente fiero di te – Scandì parola per parola, sfoderando uno dei suoi sorrisi più suadenti, uno di quelli che erano riusciti a conquistarla sin dal primo istante.

    Lei arrossì lievemente e si spogliò, lasciando cadere il vestitino lilla che indossava. Il suo fisico era sinuoso, bello, delicato, a tratti flessuoso, dalla vita in giù, altre volte atletico, quasi perfetto. Ma lei non era una perfetta, e il suo naso porcino glielo ricordava ogni giorno con insistenza.

    - Oggi posso affermare con gioia immensa di aver vissuto l’emozione più grande della mia vita … dopo l’aver incontrato te, ovviamente– Rispose al sorriso di lui con uno più docile, più imbarazzato. Non aveva mai provato un sentimento del genere, infatti né la sua eccessiva timidezza, né il suo impegno costante sui libri le avevano mai permesso di coltivare altri interessi, di aprirsi al mondo reale e viverlo. Adesso, al suo primo amore, si sentiva come una ragazzina impacciata che non sa bene come affrontare la cosa.

    Si avvicinò al suo uomo e fece qualcosa che pensava non avrebbe mai fatto. Si passò la mano tra i capelli che caddero disordinatamente davanti alla sua esile spalla destra, mentre poche ciocche ribelli si gettavano prepotentemente sul lato sinistro della schiena, e ammiccò un sorrisetto suadente. Era una donna, allettante e sexy. Finalmente riusciva a rendersene conto.

    -Tash, mi fai impazzire. Mi fai impazzire come nessuna è mai riuscita a fare - Lui era evidentemente ammaliato da quella donna, che adesso provava un gusto inimmaginabile a giocare la parte della cattiva ragazza. – Sei così precisina al lavoro, così permalosa e petulante. E poi a letto ti trasformi, dai ancora una volta il meglio di te, più di quando lavori al laboratorio, quando crei ciò che nessuna mente arriverebbe neanche mai ad ipotizzare –

    Lei non rispose, lo guardò solamente e gli carezzò il viso solleticandogli la barba incolta sul viso. Lui, di rimando, le prese il polso e la guardò dritta negli occhi. Si alzò, mettendosi in ginocchio sul letto, e la presa si fece ancora più forte, ancora più autoritaria quasi gridasse “ Sei mia, mi appartieni e non sarai mai di nessun altro”.

    - Vediamo chi riesce a resistere di più? – Cambiò espressione, da beato uomo che stava gioendo guardando la sua ragazza interpretare la parte della leonessa, divenne un dominatore, parte per cui era evidentemente nato.

    Natasha provò a trattenersi; era in piedi in prossimità del letto, indossando solo il suo reggiseno di pizzo, e più lo guardava più si sentiva eccitata.

    - Paul, tu… tu sei capace di farmi fare cose che non avrei mai pensato potessi fare- Così, incapace di resistergli, si avventò sulle sue labbra, e le baciò, le fece sue. All’inizio lui non opponeva resistenza, si lasciava baciare da quella donna con foga, con ardore. Ma subito dopo le prese la testa, la bloccò tra le sue possenti mani e le disse – Tash, adesso sei mia per sempre -

    Si unirono per tutta la notte e si staccarono solo alle prime luci dell’alba.

    Tash si preparò per andare al lavoro, indossò uno splendido tailleur nero con bordini bianchi e un paio di scarpe in camoscio con plateau e maxi tacco. Salutò con un bacio Paul che ancora dormiva e si diresse a lavoro.

    Furono 5 giorni intensi perchè ogni operazione richiedeva la massima concentrazione possibile. Si trattava di bambini piccoli, con corpi esili non ancora pienamente sviluppati. L’attenzione di tutti i medici fu estrema, non potevano assolutamente permettersi di fare del male ad una giovane vita.

    Ogni corpo era diverso e richiedeva un progetto specifico. Ogni lembo di pelle dei pazienti era conosciuto a menadito dai dottori, che avevano creato una cartella personalizzata per tutti i bambini .
    Il processo di operazione, invece, seguiva lo stesso iter per tutti, con impostazioni diverse:
    La cavia veniva fatta stendere su di un lettino automatizzato che si piegava e modificava la propria temperatura adattandosi alla pressione corporea del fanciullo.
    Dopo di che essi venivano anestetizzati e si procedeva con la raschiatura. Dai bordi dei lettini uscivano dei pannelli che unendosi formavano una capsula fosforescente. Dal di dentro uscivano fuori rumorosi i raschiatori, strumenti altamente pericolosi che grattavano e scartavetravano via tutta le pelle, disassemblando velocemente ogni cellula del tessuto muscolare, e applicavano immediatamente la nuova pelle elasticizzata che aderendo perfettamente al loro corpo si attaccava saldamente alle ossa. La particolarità di questa nuova membrana utilizzata è che era possibile sfondarla, perché le cavità create venivano a rimarginarsi quasi immediatamente. Quindi non appena la capsula si riapriva, Tash e i medici procedevano a potenziare ogni singola parte del corpo:
    Grazie alla nuova pelle scartavetrabile, i medici aprivano ogni corpo, le ossa venivano frantumate e assemblate nel modo giusto, unendosi subito di nuovo alla super-pelle.
    Con un bisturi elettrochimico i medici creavano un varco nella testa che consentiva di iniettare un liquido stimolante speciale che portava all’attivazione di tutti i singoli neuroni, così da permettere di sfruttare a pieno ogni singola parte del cervello.

    Conclusasi l'operazione, il nuovo perfetto veniva separato da quelli che non si erano ancora sottoposti all’intervento, all'interno di una zona speciale della città denominata ProxyHappens.
    Non ci volle molto, però, perché la PCC si rendesse conto che l’operazione non aveva avuto un buon esito. I bambini manifestavano ancora ansie, timori. Erano più pacati e disciplinati, sicuramente più intelligenti, ma continuavano a litigare. Facevano i prepotenti, si rubavano i pennarelli a vicenda e gridavano gli uni contro gli altri.

    Il piano era miseramente fallito. Ci furono ricerche per risolvere il problema, ovviarlo, ma ci voleva ancora troppo tempo, ricerche e soprattutto costosissimi finanziamenti.

    - Paul, mi dispiace. Non so cosa sia successo, non riesco proprio a spiegarmelo – Tash era visibilmente mortificata. Il viso pallido, stanco, era ormai troppo magro, scavato e avvilito.
    La notizia del cattivo esito delle operazioni gli era stata comunicata dalle badanti dei bimbi via cellulare, benché delle voci provenienti da parte del personale che le era stato sempre ostile circolavano già da giorni. Lei, quasi incredula, si era recata sul posto per degli accertamenti. Appena si era resa conto che quelle voci erano fondate, che il suo esperimento era “miseramente fallito”, cominciò il lento processo di autodistruzione. Non sapeva come dirlo a Paul, ma lui lo aveva già scoperto dai suoi collaboratori. Era partito sulla Terra senza neanche contattarla. Tash si era ripetuta che avrebbe trovato una cura, che la speranza non era ancora persa, così lavoro notte e giorno, senza mai mangiare, senza mai dormire. Si ripeteva che quando lui sarebbe tornato, gli avrebbe fatto trovare il mondo che aveva sempre desiderato. Ma non ci riuscii, non trovava nessun errore in quello che avevano fatto. E ora stava lì, mortificata, aspettando che lui la perdonasse, ma Paul non la degnava neanche di uno sguardo, stava lì impalato, gelido. – Guardami, fallo ora, ti prego- lo supplicò.
    Quasi ebbe trovato un minimo di compassione, Paul si voltò guardandola dritta negli occhi. Quello sguardo trafisse il cuore di Tash per intero: era un misto di delusione, disappunto e scontentezza. Paul aveva completamente perso ogni tipo di interesse per lei – Cosa vuoi che io dica? Che hai rovinato il mio sogno più grande? – La lasciò lì, abbandonando quella casa. Lei cadde per terra, lentamente, mentre le lacrime le rigavano il volto. Lo amava, e sapere di averlo deluso le distruggeva il cuore.

    Il giorno dopo Paul convocò una riunione segreta alla svelta. I membri che si trovavano sulla Terra per compiere trattative importanti, dovettero lasciare ogni loro impegno e prendere il primo volo per recarsi a Psyco.
    -Sapete tutti quello che è successo, è inutile prendersi in giro. L’obbiettivo CO è fallito, ma non temete, i nostri scienziati stanno lavorando su un nuovo progetto. Riusciremo a raggiungere quello per cui abbiamo lottato con tanta fatica. Dovete credermi, dovete riuscire a credere in me. Sapete che ho dedicato tutte le mie energie su questo progetto, ho messo in gioco il mio nome rispettato, ci ho messo la faccia. -
    Natasha guardava intensamente, con la testa china, il tavolo, cercando di non pensare alle occhiatacce che le erano rivolte. Era posta sotto esame, e lei si sentiva responsabile per tutto quello che era successo: se Paul aveva perso la reputazione era solo colpa sua.

    -Inoltre, non dovete dimenticare quello che abbiamo già fatto. Forse siamo abituati al meglio, e un piccolo errore non può essere preso tanto seriamente se consideriamo i meravigliosi traguardi raggiunti dalla dottoressa Natasha Khan – La guardò negl’occhi e lei fece lo stesso. Era imbarazzatissima, e si chiedeva dove volesse andare a parare. Anche gli altri membri lo guardarono stranamente quasi volessero obiettare.
    - Nessuno è mai riuscito a riprodurre fedelmente un pianeta, nessuno. E neanche modificare esseri perfetti. Io li ho visti quei ragazzi, e non hanno neanche un difetto. L’unico errore è stato quello di non essere riusciti a modificare un tratto del loro carattere, il più importante senza dubbio, ma è una sciocchezza se paragonato a quello che siamo già arrivati a creare, non pensate? -

    I partecipanti si guardarono attorno e finirono per annuire. Ancora una volta Paul era riuscito a convincere tutti, gli veniva così facile ricevere consensi. Era una sua dote innata.
    Jason Parisbank, leader mondiale della Banca Europea, esordì – Hai ragione, ma cosa ce ne faremo dei bambini operati?

    - Loro sono inutili, li manderemo di nuovo sulla Terra. Ma prima gli faremo una piccola operazione, devono dimenticare completamente quello che hanno vissuto qui. Da domani i loro anni passati qui saranno Tabula-Rasa.



    INIZIO PRIMO TEMPO



    mark




    Quasi tutti i genitori accettarono di riprendere con sé i propri figli. Adesso disponevano di ingenti somme di denaro che gli consentivano di condurre una vita più che agiata. In cuor loro non c’era niente di più bello che poter condividere questa gioia con i propri bambini.

    I genitori di Mark, il giorno dell’incontro, erano visibilmente in sovraeccitazione. Quel figlio per cui avevano tanto penato adesso sarebbe finalmente potuto tornare tra le loro braccia. Potevano espiare quella colpa che non li faceva dormire la notte : l’aver dato via Mark, loro figlio, per degli strani esperimenti.

    C’è da dire che l’ avevano mandato via perché non avrebbero potuto in alcun modo mantenerlo.

    Sua madre aveva infatti deciso di abortire. Si era recata malincuore da un dottore che una sua cara amica gli aveva caldamente consigliato per ottenere altre informazioni al riguardo. La sua amica era l’unica persona di cui si fidasse, di cui non temesse il giudizio, e lui, a quanto pareva, era il migliore dottore nel settore.
    Quando arrivò, tremando e sentendosi del tutto insicura del gesto che stava per compiere, un uomo la fermò. Il viso della signora Sarah Sheperman si era tranquillizzato : la voce di quell’uomo era candida e soave, dolce e rassicurante.

    -Ma io la conosco per caso? – disse Sarah, sforzandosi di ricordarsi chi fosse quell’uomo dall’aria rasserenatrice.

    -Mi ha sicuramente visto in tv, facevo politica fino a non poco tempo fa - sorrise divertito, vedendo che l’espressione incerta della donna si era trasformata in un certa e sicura.

    -Oh certo, io la conosco. Non ho mai capito perché si fosse ritirato così all’improvviso – disse interessata, senza però riuscire a scordarsi neanche un attimo del “problema” che portava in grembo.

    -Ci sarà tempo per quello, prima dobbiamo passare alle questioni importanti – Lei capì immediatamente che non doveva spaventarsi, che il cielo, per la prima volta in vita sua, si era mosso per aiutarla.

    I due parlarono per ore, e la reazione finale di Sarah sembrò un misto tra incredulità, speranza e desiderio. Era a conoscenza che ormai esperimenti progrediti erano svolti in gran segreto da personalità qualificate di alto rango, e quando si avvicinò loro il Senatore dello Stato si convinse definitivamente che quello non era affatto uno scherzo, ma si trattava di uno degli esperimenti segreti più grandi della storia. E lei era stata scelta.
    Quando tornò a casa disse tutto a suo marito. Egli, come suo solito, la appoggiò fin da subito, ma ad un patto: voleva sapere esattamente cosa avrebbero fatto al piccolo, se avesse sofferto in qualche modo.

    Quella stessa sera, nella loro piccola casa a due stanze che a malapena riuscivano a pagare, ricevettero una visita. Erano quegli uomini.
    Si accomodarono nel piccolo cucinino, stringendosi il più possibile.

    -Ho bisogno di sapere che mio figlio starà bene, che soffrirà meno di quanto potrebbe soffrire ora – Ansimava. In cuor suo non poteva permettere che il figlio sentisse dolore fisico reale, convinto che allo stadio attuale non sarebbe riuscito a provare nessuna sensazione.

    - Su questo non deve nutrire alcun dubbio, noi tratteremo suo figlio come se fosse nostro figlio. Glielo promettiamo. D'altronde tra noi lavorano grandi umanitaristi, e non consentirebbero mai che gli venisse fatto del male. Vogliamo solo aiutare l’umanità, non distruggerla -

    La famiglia Sheperman firmò il contratto e incassò un assegno di 10 milioni di dollari. Da quel momento in poi vennero trasferiti in una clinica privata, così che nessuno potesse nutrire alcun sospetto.

    In seguito si trasferirono in un altro paese e si crearono una vita felice, ma il peso di quella scelta influiva negativamente ogni giorno su di loro. Non potevano ricevere informazioni riguardanti Mark, non potevano saperne nulla, e proprio quando si stavano decidendo ad andare avanti e creare una nuova vita, ricevettero la notizia che mai si sarebbero aspettati : loro figlio sarebbe finalmente tornato tra le loro braccia.

    Mark era un bambino sereno e gioioso. Sapeva divertirsi con i suoi compagni d’asilo ed era considerato da tutti un campione. Si sa come funziona in queste cose : chi vince ai giochetti, chi resiste ai bulli, chi difende i deboli, chi fa tutto come deve essere fatto, è ammirato dagli altri, seguito. E lui era proprio così, un eroe che tutti guardavano già con ammirazione. Ma Mark non si sforzava per farlo, non aveva mai subito neanche una volta il peso del non riuscire in qualcosa, mai un momento aveva subito pressioni. Era perfetto, e non importava se nello sport, nel canto, nello studio. Ogni cosa gli riusciva così bene.
    Ben presto, però, la gelosia nacque e tutti cominciarono a stufarsi.
    Nessuno degli amichetti, in sua presenza, aveva un po’ di spazio per se stesso. C’era chi aveva provato a guadagnarselo, ma senza riuscirci. Alle elementari il suo migliore amico, stufo di vedere che lui riceva le attenzioni di tutti costantemente, provò a batterlo ai videogiochi. Sperava di ricevere una misera ricompensa rispetto a tutto quello che doveva subire ogni giorno. Era convinto che lo avrebbe battuto con facilità, infatti lui si allenava tutti i giorni. Mark, a quanto aveva appreso, non aveva nessuna passione per i videogiochi e non aveva mai toccato un joypad.
    Così, un pomeriggio, convinse la madre ad invitarlo a casa sua e la sfida iniziò. Mark non aveva mai toccato un controller, aveva ancora solo 6 anni, ma nonostante ciò, aveva vinto, aveva stracciato Michael a quel picchia-duro senza dargli tregua, aveva accumulato una serie di Perfect consecutivi, ovvero vittorie senza ricevere alcun danno, con così tanta facilità che l’amichetto si infuriò, pianse deluso e lo cacciò di casa.
    Quella era stata la prima volta che Mark aveva sperimentato cosa significasse essere perfetti in un mondo di imperfetti. Provò più volte a rendersi un ragazzo normale, ma sfuggire al suo destino era impossibile. Molto presto tutti i suoi amici lo abbandonarono, e il primo anno di Liceo fu traumatico. Nessuno voleva passare del tempo con lui, se non le ragazze, che facevano a gara per contenderselo. Ovunque ci fosse lui, decine e decine di ragazze si attorniavano entusiaste. Venivano attratte da quel viso candido e soave che sfilava dritto, dalle sue gote rosa che arrossivano leggermente e si inclinavano fino a trasformarsi in fossette, dal suo naso aquilino e dalla sua bocca carnosa e densa, capace di sfamare mezza Africa.

    I ragazzi non lo sopportavano anche per questo motivo: non aveva successo solo con una ragazza nei dintorni, ma con tutte, sempre, perennemente. In metro le persone lo guardavano sconvolte e si chiedevano se fosse reale e perché si trovasse lì, tra la gente comune, e non a bordo di jet privati o macchine lussuosissime.
    Lui non si chiedeva il motivo per cui i suoi genitori fossero così ricchi, sapeva che avevano ricevuto una grande somma di denaro dopo una vincita al bingo e che quindi poteva permettersi tutto quello che voleva, ma non volevano che ne parlasse con gli altri, che si mettesse in mostra e esagerasse perché il troppo stroppia. Gli avevano insegnato la moderazione e la modestia, gli avevano insegnato, soprattutto, a non farsi usare per denaro, ad evitare persone così meschine ed egli aveva sempre seguito l’insegnamento consapevole che forse quelli sarebbero potuti essere gli unici amici della sua triste vita.
    Ben presto sviluppò un sistema di auto-difesa, doveva continuare ad apparire perfetto ad ogni costo. Nessuna delusione, nessuno sconforto solo la perfezione che zampillava senza mai esaurirsi. Ma a cosa serve la perfezione se non si più condividere con gli altri?
    A volte si metteva a pensare, e un desiderio sfuriante prendeva possesso del suo corpo. Voleva punire tutti quelli che lo avevano privato della loro amicizia. Gli veniva di quando in quando, durava un giorno o una notte, simile al dolore solitario provato durante un sogno. Scompariva senza lasciare traccia e ritornava dopo settimane o mesi. In quegli attimi sentiva il bisogno di dimostrare qualcosa agli altri e scaricava la sua rabbia sulle ragazze. Le seduceva come solo un amante appassionato sa fare e le faceva innamorare fino a che loro non potevano farne più a meno. Lo faceva davanti a tutti, e i volti degli amici si infuocavano, si destabilizzavano. Rubò più e più volte baci dalle ragazze di coloro che si erano finti suoi amici. Le portava a letto e le rendeva sue senza che potessero opporsi e poi le lasciava sole, con la loro disperazione, a rimpiangere il momento più bello che avessero mai avuto.
    Mark era bello, fantastico, entusiasta, lieto e malinconico. Mark era un eroe, un mago, un seduttore. Poteva l’impossibile e trasformava il cuore di tutte quelle ragazze, lo riempiva. Le trasformava in una sola notte.
    Ben presto cominciò a sviluppare una sorte di dipendenza, le sceglieva, come in un gioco destinato a non finire mai. Doveva possederle perché loro non l’avrebbero mai tradito, ma non doveva affezionarsi o la storia si sarebbe ripetuta, e sarebbe stato peggio della delusione datagli dai suoi vecchi amici. Imparò a selezionare le sue vittime, voleva essere amato per quei pochi istanti, ricercato, compreso durante i discorsi notturni e conquistato a fatica. Non molte vi riuscivano, migliaia ne venivano annientante. Le faceva piangere, li uccideva dentro e spegneva in loro la fiamma dello spirito. Ma le predilette, quelle venivano invitate alle sue feste dove costruiva per loro ponti iridescenti verso isole felici. Poneva loro, quando erano stanche, un guanciale sotto il capo e le circondava, quando cadevano in preda della malinconia e quando capivano che lui non l’avrebbe mai amate veramente, in un abbraccio dolce e affettuoso, come un amico o una madre consolatrice. Era simile a tutte le cose artistiche, a tutti i doni preziosi.

    I suoi genitori erano increduli per quello che stava accadendo al loro figliolo, del mostro che si nascondeva sotto il suo volto perfetto. L’episodio clou si verificò quando suo padre gli chiese quanti rapporti sessuali aveva avuto negli ultimi tempi, e lui rise, dicendogli se fosse geloso.

    -Hai solo 16 anni Mark, te ne rendi conto? Cosa stai facendo a te stesso, ma soprattutto cosa stai facendo a quelle ragazze? So che vai di nascosto alla casa a mare, so che ci vai ogni giorno e ti ho seguito, sicuro che tu non mi avresti detto nulla. Ti ho visto andarci con decine di ragazze differenti in orari diversi della giornata, e ti ho visto piangere dopo ogni rapporto affacciato alla finestra del bagno. Cosa pensi di ottenere così? Anche io ho avuto le mie esperienze, ma questa autodistruzione non ti porterà a nulla, lo capisci? Sceglitene una, amala fino alla fine, rendila felice come solo tu puoi perché so che hai tanto da dare. Fai come abbiamo fatto io e la mamma, che stiamo insieme da 20 anni. Tra noi non c’è mai stato nessun tradimento e abbiamo stretto il legame d’amore più grande che potesse esistere, arrivato anche a chiudere ogni tipo di rapporto con i miei genitori perché non l’ accettavano– Mark sembrava perplesso – Riesci a capire cosa voglio dirti figlio mio? -

    - Papà, non si tratta di questo, va bene? Nessuna, nessuna rapirà il mio cuore finché non riuscirà a cavarmi fuori tutto il dolore, finché la mia incomprensione diventerà per lei materia pulsante del suo cuore. Nessuna riesce a comprendermi veramente. Lo capisci papà? Per me sono inutili ma indispensabili, per due o tre ore, dopo di che non mi bastano più. Diventano vuote, io divento completamente vuoto.

    Scappò in camera sua e si chiuse a chiave, si gettò sul letto e
    pianse più di quanto avesse mai fatto. Dopo la sfuriata silenziosa, aprì le serrande e guardò fisso la strada. Prese il suo taccuino e cominciò a scrivere:

    diario



    Il giorno dopo si alzò, fece la sua solita colazione e andò a scuola. Aveva capito esattamente cosa fare. Tutto quell’odio non faceva altro che generare altro odio . Odio interminabile che si riversava su giovani vittime innocenti che non lo meritavano. Non sapeva bene cosa sarebbe successo, forse sarebbe rimasto solo o forse qualcosa prima o poi sarebbe cambiato.

    I primi 3 mesi furono i più pesanti. Certe volte si rendeva conto che viveva assai meglio nel mondo proibito e il ritorno al luminoso- per quanto fosse buono e necessario – gli sembrava quasi un ritorno al meno bello, al più vuoto e alla noia.
    Viveva timoroso e tormentato come uno spettro, non partecipava alla vita degli altri e raramente dimenticava se stesso per qualche ora. Suo padre, irritato, a volte lo spingeva a parlare, ma egli rimaneva chiuso e freddo.
    Finì di imparare qualche nozione grammaticale di Coreano che aveva tralasciato, completò una quantità indefinibile di videogiochi e vide tanti, tantissimi film.
    Si rese presto conto che non poteva più andare avanti così, o sarebbe impazzito. Decise così che si sarebbe dedicato a qualcosa di nuovo, qualcosa di inesplorato, mai tentato prima. Accese il pc portatile e digitò sul motore di ricerca semplicemente ‘corsi vicini casa’ e gliene spuntò uno alquanto interessante. Non aveva mai fatto musica, l’ascoltava spesso, almeno una volta al giorno, ma non aveva mai né provato a cantare seriamente o a suonare uno strumento. Il corso si trovava non molto lontano da dove viveva, mezz’ora di bus in una città in cui non era mai stato prima. Seguì la procedura di iscrizione online, pagò tramite carta, e il giorno dopo, con spirito rinnovato ed entusiasta, arrivò alla scuola di musica. Esibì alla reception la scheda stampata di avvenuta registrazione e gli venne indicata l’aula in cui avrebbe seguito la lezione.

    - Si accomodi pure, il suo insegnante dovrebbe arrivare a breve –

    cedric



    Aprì la porta e si accorse che era molto piccola, conteneva due banchetti e alcuni strumenti musicali, era poco illuminata dal momento che la tapparella della finestra era socchiusa. Prese posto su di una sedia e si lasciò andare a dolci pensieri, che vennero rotti quasi subito da un giovane ragazzo che entrò tutto sorridente nell’aula. Aveva una figura snella, e il suo sorriso conservava una caratteristica irresistibile, una freschezza spontanea, quasi infantile.




    - Piacere, io sono Cedric. Sono Francese e studio musica qui in America da ormai più di un anno. – Nonostante ci abitasse da poco, il suo americano/inglese era ottimo, con appena un lievissimo, e perciò affascinante, accento in alcune sillabe. Mark lo guardava interessato. Si alzò e gli strinse la mano saldamente.

    - Tu devi essere Mark. Ho letto nella scheda che non hai mai fatto musica, come mai questa voglia improvvisa? – Gli sorrise ancora, con un sorriso franco e accattivante.

    - Sì, sono io. Volevo sperimentare qualcosa di nuovo, e visto che non ho mai avuto nulla a che fare con la musica, mi sono detto che avrei dovuto iniziare.

    - Non potevi fare scelta migliore. Cominceremo pian piano, non c’è un’età per cominciare basta avere la voglia di imparare ed essere coscienti dei propri limiti – Cedric non sapeva che per lui non c’erano limiti, che tutto era possibile.

    - Nella scheda hai segnato che vorresti cantare e suonare la chitarra, giusto?

    - Esattamente, ho forse sbagliato?

    -No, è perfetto. Faremo un’ora di canto e una di chitarra. Adesso ti farò ascoltare un pezzo che dovrai essere capace di suonare in circa due settimane, non è molto difficile. Questo è il primo obiettivo del corso da raggiungere– Si alzò, prese una chitarra e ritornò comodo sul suo sgabello.

    Mark sapeva che non doveva guardare né cercare di ascoltare. Per lui la conoscenza avveniva in maniera diversa dagli altri. Era sufficiente guardare una cosa per apprenderla automaticamente. Guardare un programma di cucina significava imparare a cucinare tutte le ricette proposte e riprodurle fedelmente ( anche meglio ). Anche l’ascolto, in altri settori, era di fondamentale importanza. L’unione di entrambe le cose era fatale : significava raggiungere la pura perfezione.

    - Avrei dovuto mettermi un paio di tappi trasparenti per le orecchie – pensò tra sé e sé – Ma almeno cercherò di non guardarlo, anche se so che non servirà poi a molto -

    Cedric cominciò a suonare, la canzone era lenta ma si adattava perfettamente alla sua voce graffiante, intensa, potente e passionale. Aveva subito riconosciuto, sebbene non avesse moltissime nozioni in merito, che aveva una tecnica altissima capace di raggiungere note alte. Si sforzava di non guardarlo, ma era come una calamita. In quell’esecuzione ci stava mettendo tutto sé stesso, in quell’esatto istante era diventato perfezione.
    C’era in lui qualcosa di caldo, dovuto non soltanto al colore dei suoi capelli, di un castano rossiccio, con riflessi d’oro, e dei suoi dolci occhi marroni, scuri come la torba, ma al suo carattere cordiale ed espansivo.

    Alla fine della lezione Cedric fece cantare il pezzo a Mark e strabiliato esclamò:

    - Hai una voce perfetta, sembra che tu abbia studiato musica fin da quando eri piccolo. Non hai avuto nemmeno bisogno di una correzione, e sei riuscito a raggiungere note altissime. Tu non sei affatto un principiante, forse sei anche migliore di me. Qui c’è del talento, e mi dispiace che tu abbia deciso di coltivarlo solo ora. Lavoreremo tantissimo, sono pronto a farti diventare un grande cantante – Gli sorrise splendente. Quel lavoro gli piaceva da impazzire.
    Era costantemente circondato dalla sua passione più grande, a scuola, a lavoro, a casa dove viveva con la sua band.

    - Ci vediamo dopodomani, e continua così – Mark lo ringraziò e si diresse verso il bus. Durante il tragitto verso casa, si perse ancora tra i suoi pensieri. Fino al giorno prima era convinto che sicuramente sarebbero venute altre notti di solitudine in cui non cui non sarebbe riuscito a respirare bene, in cui l’ansia l’avrebbe sopraffatto. Ciò aveva provocato in lui un senso di ribellione e rifiuto, che lo aveva costretto a fare qualcosa per cambiare la situazione attuale, iscriversi ad un corso che gli avrebbe fatto conoscere nuove persone. La certezza meravigliosa che esisteva un momento in cui all’improvviso era possibile respirare di nuovo gli faceva battere forte il cuore.

    Arrivò a casa con il cuore in gola. I genitori gli chiesero com’era andata e lui rispose magnificamente, che la musica lo affascinava e c’era dietro più di quanto potessero immaginare, che una canzone richiedeva un sacco di lavoro. Si rinchiuse in camera e suonò e cantò quello stesso pezzo fino alle prime luci del mattino.

    Mark non si perdeva neanche una lezione, le seguiva sempre con interesse crescente.

    Tra i due ragazzi era presto nata una grande amicizia.

    Alla fine di una lezione, Cedric lo incalzò all’improvviso:

    -Questo fine settimana c’è un evento grosso fuori città. E’ un grande spettacolo musicale. Vorresti andarci? Un mio amico ci ha procurato gli ultimi biglietti, saremo un bel po’ di persone.

    Mark si sorprese della richiesta, non era più abituato a ricevere inviti del genere. Si affrettò subito a rispondere – Sì, sarebbe fantastico.

    Cedric prenotò i biglietti.

    Quando il grande giorno arrivò, Mark era tutto febbricitante. Il campanello di casa sua suonò alle 5.40; erano in anticipo. Aprì la porta e si trovò di fronte un Cedric tutto smagliante, con una giacca di pelle e un paio di converse. Sembrava un vero musicista, pronto per andare in tournee.
    Dietro di lui sostava un furgoncino arancione. Era di media grandezza ed era popolato da 7 persone che ridevano e scherzavano. Quando entrò tutti si girarono verso di lui e lo guardarono allibiti, spalancando le bocche per qualche secondo. Era una reazione ormai abituale e ci aveva fatto l’abitudine. Sapeva di essere bello, bellissimo, ma aveva finito per imbarazzarsene senza volere. Sapeva essere così crudele e freddo, e poi, di colpo, vergognarsi per cose sue, per delle sciocchezze.

    - Ecco il grande musicista di cui Cedric ci ha tanto parlato -

    - Non sono così grande. Ha esagerato un po’, con me lo fa sempre -

    - Non è vero – rispose di rimando lui – lo sapete che sono molto critico nel mio lavoro, e se dico che la sua voce è divina lo penso veramente –
    -Sappiamo che scrivi da te i testi delle canzoni. Dacci prova di essere così bravo come dice – disse con tono di sfida uno di loro.

    La macchina stava già sfrecciando per le strade deserte a tutta velocità. Mark prese la chitarra e inspirò a lungo. Erano tutti in attesta, col fiato sospeso, ed ecco che la sua voce uscì, flebile, bassa, penetrante. I brividi si diffusero per tutto il veicolo che sembrava essere diventato un tempio in cui i devoti pregavano per il loro Dio. C’era sentimento, c’era passione, non stava cantando solo per dimostrare che non avrebbe stonato, non avrebbe sbagliato alcuna nota, ma per trasmettere sentimenti, comunicarli. Voleva dirgli ‘ non sono diverso. Il fallimento è contemplato anche per me, e ho fallito ancora e fallirò sempre e comunque, ma con l’aiuto di qualcuno tutto andrà meglio’. Erano parole silenziose che il testo non riusciva bene a trasmettere, era invece la voce che faceva questo lavoro, compiva un piccolo miracolo e si faceva portatrice di un messaggio. Le note viaggiavano e si depositavano indelebilmente tra i corpi attoniti dei devoti, che una volta finita la canzone lo pregarono di cantarne un’altra. Pian piano osarono accompagnarlo con i loro strumenti musicali. Erano una band vera, che si era unita e ogni imperfezione veniva coperta dalla sua voce. Prima di pranzare, Cedric gli sussurrò all’orecchio che forse sarebbe potuto entrare nella band.

    Dopo ore di viaggio, arrivarono a destinazione. Parcheggiarono e uscirono notando che il posto era già pieno.

    -Ragazzi, mi è appena arrivato un messaggio. Non riesco a crederci. Dice che sostituiremo una band, che avremo il nostro concerto qui. L’ha mandato Jacob, quindi è una notizia vera. Suoneremo per il concerto di stanotte, l’ultimo per esattezza-

    La confusione si diffuse presto. Persone si abbracciavano, alcune addirittura piangevano, altre gridavano FINALMENTE FINALMENTE a ripetizione. Dopo così tanti tentativi, dopo provini non superati, audizioni nei locali, era arrivato il loro momento. Cedric era in silenzio, in piedi. Mark si avvicinò e improvvisamente si senti assalito dalle braccia del suo amico che lo stava abbracciando e stava piangendo. In quell’abbraccio c’era tutto, la pressione senza fine che da vocalist del gruppo aveva vissuto, la speranza di sfondare. Per la prima volta in vita sua Mark si sentiva, seppur in piccola parte, partecipe di tutto questo. Aveva un amico, un amico vero, e probabilmente alla fine della giornata se ne sarebbe fatti altri. Non sapeva che era la sua natura di perfetto a richiederglielo. I perfetti non potevano non vivere in un contesto sociale, tagliarli fuori significava la loro fine. Ecco perché lui aveva provato ad auto-distruggersi. Avevano bisogno di appartenere ad un gruppo, di avere amici, di vivere attivamente nella società. Era un requisito fondamentale per la maggior parte di loro, solo alcuni, particolari e speciali, potevano sfuggire a questo bisogno latente.

    Il gruppo si mosse sempre insieme; seguirono i concerti per tutta la giornata, parlarono del più e del meno e verso sera la band andò a prepararsi. Mark riuscì ad arrivare in prima fila.
    Era il suo primo concerto dal vivo, per questo si sentiva leggermente agitato.
    Il gruppo entrò in scena, e cominciò a suonare.

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    Era una giovane vita che nasceva, un sogno nato dalla mente più pura e più tormentata che potesse esistere. Era un’ossessione, un mix tra luce e oscurità.

    Mark chiuse gli occhi… Si ritrovò immerso in un altro mondo, sconosciuto e inesplorato, pauroso ed estremamente personale. Non vedeva più i componenti del complesso; erano solo un tramite, dei fantasmi. Riusciva invece a distinguere chiaramente le note, vibranti, scattanti, decise e passionevoli. Erano lì che si liberavano in aria. Non c’era più nessuno ostacolo, nessuna barriera o intralcio. La voce, le parole, le note erano libere di muoversi tra l’immensità di quel Forum che, portentoso, le lasciava volteggiare in aria e si sottometteva riconoscendo loro un ruolo invalicabile.
    Mark si ritrovò ad essere ammaliato, famelico, vorace, sensibile e si era appropriato di tutto ciò: il solista smembrava l’emozione come la riceveva, la liberava e lui, appropriandosene, subito assimilava e rielaborava. Quelle canzoni che tanto aveva ascoltato, facendole sue, adesso avevano fatto di lui il suo specchio riflettente. E le rifletteva tutte. Non era mai stato così poco padrone di se stesso, così in pericolo, così spaventato.
    La paura si diffondeva, ma non era abbastanza, il suo corpo, grazie alle note filtrate tramite il sangue, agiva per conto suo insieme al cervello. Quello era il vero Mark, quello che aveva tenuto nascosto per troppo tempo, quel ragazzo che per paura di essere diverso, di vedere le cose in maniera differente rispetto agli altri, era arrivato prima ad abusare delle persone e poi all’indifferenza. L’indifferenza nei confronti degli altri, l’indifferenza nei confronti di se stesso. Per la prima volta era stato se stesso e soltanto ora riusciva ad avere piena coscienza di quello che era successo, e nessuna parola, nessun racconto avrebbe mai potuto eguagliare un simile sentimento. E si chiedeva se un giorno sarebbe riuscito a trovare la forza per pensare obbiettivamente a quel concerto. Se sarebbe mai arrivato un giorno in cui, ripensandoci, non sarebbe arrossito, non sarebbe rabbrividito, non avrebbe provato il bisogno di cercare riparo. Uno scosceso precipizio avrebbe spazzato in due ogni tentativo di ripercorrere quella giornata nella sua interezza. Voleva solo cerca di dire a se stesso che forse avrebbe partecipato a qualcos’altro del genere in uno stato migliore; che avrebbe provato ad occhio umano di capire quello che provava. Grazie a quell’esperienza aveva capito di dover mettere mano alle sue emozioni, e scegliere e lanciarle, o tenere e superarle, senza maggiore indugio di quanto gliene occorresse nell’emozionarsi.

    La serata finì come dopo un’intensa supplica durata ore e ore. Le persone si dirigevano in fretta verso l’uscita smaniosi di prendere il treno.
    Mark si rese conto che dei suoi amici non c’era più neanche l’ombra.
    Lui invece era ancora lì, al centro, barcollante, attonito, sbigottito. Era stata un’esperienza mistica ma allo stesso tempo distruttiva, nel vero senso della parola. Sentiva dolori in tutto il corpo: lividi appena accennati, risultato delle transenne, che in meno di un minuto sarebbero scomparsi.
    Confuso cadde a terra, con la musica che gli rimbombava ancora per la mente. Per terra, strisciante, agognante, vide Cedric.
    Erano entrambi in mezzo alla pista, impresentabili, col fiatone, senza capire nulla, quando una guardia si avvicinò verso di loro chiedendogli scortesemente di sgombrare la pista. Mark pensava che c’era in lui qualcosa di veramente surreale, e muovendosi verso l’uscita, senza che ancora nessuno dei due avesse parlato, un’aurea di superiorità avvolgeva il cantante tanto da renderlo agli occhi del giovane perfetto una creatura più divina che umana. Si chiese come fosse stato possibile che la guardia lo avesse trattato con così tanta sgarbatezza e come non avesse provato un sentimento di forte onorificenza nei suoi confronti. Sarebbe dovuto essere gentile e dargli tutto il tempo di cui aveva bisogno per sistemarsi. Avrebbe voluto averlo come fratello maggiore, tutto sarebbe stato più semplice.

    -Che concerto devastatore, non pensi? Distruttivo ma talmente emotivo che mi sento come se qualcosa dentro di me stesse facendo a botte – Nonostante avesse cantato per due ore consecutive, la sua voce era ancora chiara, calda e soave.

    - Comunque è meglio non vederci più Mark. Questo è il mio sogno più grande. Ci lavoro da quando ero piccolo, e non posso farmelo portare via da nessuno. Sei molto più bello e bravo di me, gli agenti ti prenderebbero senza dubbio e mi sostituirebbero... e cosa rimarrebbe del mio sogno? -

    Il cuore del perfetto vacillò un poco, e poi si distrusse, ancora una volta.

    Inizio secondo tempo



    emma



    I genitori di Emma rifiutarono categoricamente la proposta di riaccogliere la figlia presso la casa in cui abitavano, una villetta a tre piani con piscina e multi-garage annesso. Dissero :

    - Noi non vogliamo quella scocciatura, ce ne siamo liberati e stiamo meglio così, senza nessun marmocchio tra i piedi”.

    Le forze speciali della PCC andarono via chiedendosi se avessero ancora un briciolo di umanità, o se tutti quei soldi gli avessero mandato in pappa il cervello.
    Il contratto era categorico riguardo ciò “ Ai sensi della legge, nessun genitore è forzato a riaccettare il figlio in casa propria” Ma chi decideva di non riaccogliere la prole perdeva ogni diritto nei suoi confronti.
    Emma venne così mandata in un vecchio orfanotrofio vicino alla campagna. Quel luogo divenne così la sua nuova casa. La situazione che tutte le bambine vivevano era pressoché simile ma ognuno affrontava la mancanza in maniera diversa.
    La sua storia venne re-inventata tutta dall’inizio. I suoi genitori erano entrambi morti durante una missione solidale in Africa, colpiti da una mina mentre svolgevano opere benefiche all’interno di una piccola comunità del Zimbabwe. Così fu deciso al fine di rendere meno traumatico ciò che di per sé era già spietato e crudele. Almeno quella povera bambina avrebbe vissuto con la convinzione che i genitori erano state delle persone meravigliose e avevano perso la vita solo a fin di bene.

    In un lunedì che lei non avrebbe più dimenticato, venne trasferita definitivamente all’orfanotrofio Zirgaloff, diretto dalla moglie di uno dei membri della PCC che non ci pensò due volte ad appoggiare il progetto di cui suo marito faceva parte. Anche lei voleva contribuire al programma e fare in modo che il suo nome venisse annunciato chiaramente e forte da Paul durante la riunione finale:

    -Ringraziamo di cuore la signora Josephine Zirgaloff per aver deciso di ospitare nel suo orfanotrofio una delle perfette superstiti -

    Josephine sfoggiava la sua pelliccia di volpe preferita, mentre un sorriso soddisfatto e compiaciuto delineava il suo viso tondo. Si alzò, e si diresse a passo di leopardo verso il microfono da cui Paul si era già scostato. Tutti conoscevano le maniere di quella donna e tutti si meravigliavano di come Lucas l’avesse potuta sposare. Lui era un uomo tranquillo, gentile e generoso; lei invece era una serpe, una stratega che puntava solo a massimizzare i profitti del suo collegio, ad attingere senza fine al patrimonio di suo marito e ad essere vista di buon occhio da tutti.

    - Non appena ho sentito che una delle vostre giovani ragazze era sprovvista di alloggio in cui risiedere, perché i genitori non la volevano più in casa, mi si è stretto il cuore. Ho subito pensato che avrei dovuto fare qualcosa. Ne ho parlato con Lucas che ha caldamente appoggiato la mia idea: trasferirla all’interno del mio famoso e rispettato collegio. Sarà trattata benissimo e si inserirà meravigliosamente, ne sono sicura -

    Appena il suo teatrino finì, un tiepido applauso si levò dalle fila popolate dai membri della PCC. Era abbastanza per saziare la sua ingordigia non troppo nascosta.

    La vita di Emma in collegio fu un inferno. Le condizioni in cui viveva erano pietose, e Josephine in prima persona, poi le altre bambine, erano gelose della sua bellezza perfetta e a volte crudele. Provavano una sprezzante invidia nei suoi confronti che né la sua generosità, né la sua attitudine al bene, riuscivano ad attenuare. Il collegio, essendo interamente femminile e molto vasto, offriva una variegata e distinta serie di clubs a cui tutte le bambine o ragazze partecipavano. Non entrare a farne parte significava essere esclusi dalla vita del collegio ed essere preda di scherzi orribili che andavano ben oltre i semplici gavettoni. Gli “scherzi” consistevano in vere e proprie torture mentali nonché corporali. Tutti erano a conoscenza di ciò, dai governanti ai portinai, dalla direttrice alle cuoche.
    Emma non voleva prendere parte a nessuno di questi gruppi goliardici, così la sua astensione iniziale si trasformò ben presto in una soffocante e impossibile esistenza all’interno del Collegio. Le torture erano rovinose, le ferite evidenti su tutto il corpo, ma scomparivano in tempo record. Divenne ben presto una bambina solitaria, si rinchiudeva nella sua camera e lasciava che la paura e la tensione prendessero vita nel suo corpo. Viveva con quella sensazione straziante che sarebbe stata disturbata e torturata presto, di sentire voci sommesse che sarebbero diventate grida di morte.
    Gli scherzi erano insopportabili, e la solitudine cresceva sempre di più : le altre bambine si rifiutavano di parlarle dal momento che non aveva preso parte a nessun club. Se lo avessero fatto avrebbero rischiato l’espulsione immediata.

    Jessica



    Il club della rosa era il club più esclusivo di tutto il collegio, le ragazze avrebbero fatto a gara per entrarci, ma le selezioni erano durissime, quasi impossibili da superare. Un membro di quel club, Jessica, prese a ben volere Emma e le parlò di nascosto, consapevole che se qualcuno l’avesse scoperto, avrebbe rischiato l’espulsione. In segreto, col tempo, divennero grandi amiche. Emma vedeva Jessica quasi come una mamma, ma non poteva dirle tutto. Non poteva dirle che lei ricordava… di un’altra vita, precedentemente vissuta.

    Emma sapeva di essere una delle 100 cavie e ricordava alla perfezione tutto quello che era successo in quel periodo. L’operazione “Tabula-Rasa” su di lei non aveva avuto nessun effetto. Ricordava ogni singolo istante della sua infanzia, ricordava come qualche minuto prima dell’operazione per farle dimenticare tutto, il segretario della dottoressa Khan era entrato e aveva detto dispiaciuto:

    - I suoi genitori non la vogliono. Se ne sono liberati, dicono che sarebbe solo un impiastro per loro vita ormai felice-

    Ricordava anche la segretezza del piano a cui aveva partecipato, tanto da non poterne parlare con anima viva, neanche con la sua migliore amica che da anni la sosteneva e la implorava di non mollare e di non diventare violenta con le altre bambine ( le avrebbe distrutte, se solo avesse voluto, con un dito ).
    Sentiva che se l’avesse fatto la situazione sarebbe peggiorata.
    La maggior parte del giorno stava sotto le coperte del suo letto a pensare perché avessero fatto una cosa così spregevole, e se lei stessa, nata da delle persone tanto disgustose, sarebbe potuta essere diversa, una persona migliore.
    Quelle parole risuonavano forti nella sua testa :

    – Non la vogliono, non la vogliono. Solo un impiastro, solo un impiastro.

    Jessica venne adottata poco tempo dopo da una famiglia cristiana allargata che era avvezza alle adozioni. Per Emma sembrava essere arrivata la fine, come sarebbe sopravvissuta senza di lei? Si sentiva perduta e destinata alla sconfitta fino a quando…

    Davanti a sé solo un mondo oscuro, somigliava ad un videogioco horror. Le sembrava di trovarsi all’interno di Silent Hill o Raccon City. La nebbia fitta l’addensava, l’opprimeva e nascondeva alla sua vista ogni possibilità di distinguere una via d’uscita. Bloccata. Dannatamente bloccata in un posto che non conosceva, eppure sembrava così familiare.

    Camminava a tentoni, senza seguire alcuna rotta precisa. Solo nebbia davanti a lei. Temeva di poter sbattere da un momento all’altro, ma non riusciva a distinguere niente.

    Vuoto.

    Tutta quella desolazione la spaventava.
    Continuava a camminare, ma non trovava niente, nessuno.
    Mentre una sensazione lancinante di vuoto l’assaliva, distinse in lontananza una sagoma di cui però non riusciva a capire il sesso, decise così di seguirla. Con passo ieratico, cominciò ad aggirarsi per la città fantasma.

    L’opprimente nebbia cominciò a dileguarsi, luci crude spuntavano, facendosi sempre più luminose. Le lampade ad arco creavano grandi spiazzi di luce in cui decise di fermarsi. Finalmente riuscì a distinguerne la figura: era un ragazzo, alto, capelli biondi, magro. Il suo volto scavato sembrava essere scioccato ma così sicuro di sé. Cominciò a correre, velocissimo. Emma non riusciva più a vederlo; era scomparso. La nebbia ritornò, l’attanagliò, e la sensazione lacerante di prima ritornò. Era finita. Per sempre.

    Gridò, svegliandosi in preda al panico.

    Aprì gli occhi. Le sembrava di essere ancora immersa in quella fitta nebbia, che la risucchiava e l’accecava. Ci volle qualche istante perché riuscisse a riprendersi.
    Si alzò di scatto dal letto e aprì le grandi persiane più veloce che poté. Un’ondata di luce l’investì, la conquistò ed elimino ogni sensazione di paura che in quel mondo così lugubre l’aveva perseguitata e conquistata. In quel luogo così strano si sentiva sommersa dalla nebbia, da troppa oscurità.

    Si diresse subito in bagno, lasciò cadere disordinatamente i vestiti sul pavimento s’infilò sotto la doccia. Appena uscita si sciacquò, si vestì e asciugò i capelli. Le venne subito un’idea: ne avrebbe parlato con Jessica durante il tragitto verso la scuola.
    Chiamò Jessica per informarla del suo arrivo, ma si rese conto di averla svegliata. Non era la prima volta che accadeva, dormiva sempre fino a tardi e poi riusciva a prepararsi in un attimo e arrivare in tempo per le lezioni. L’opposto di Emma che si svegliava sempre alle 6.00 del mattino preparandosi con calma, ripassando e facendo una ricca colazione.


    Scese giù per le scale e si accorse che gli altri erano già usciti. Trangugiò qualche biscotto con le gocce di cioccolato dal ripiano della cucina ed uscì di casa in anticipo rispetto al normale. Era strano vivere lì, essere tranquilla e non temere più nulla. Jessica, non appena uscita dall’orfanotrofio, si era fatta in quattro per farla uscire. A quanto pare, secondo la nuova riforma dello Stato, con una buona condotta, superati i 16 anni, si poteva studiare e lavorare contemporaneamente. L’alloggio era messo a disposizione dello Stato, così Emma viveva in una casa con altri ragazzi orfani e due supervisori. Jessica aveva convinto i genitori a mettere una buona parole sulla ragazza, e dal momento che erano persone molto rispettate ed influenti, non ci volle molto perché la facessero uscire fuori da quell’inferno.

    Uscì da casa, e camminò con passo veloce, quasi correndo. Tra le orde di persone che camminavano speditamente, tutte immerse tra i loro pensieri, lei cercava di districarsi tra le sue preoccupazioni. Quel sogno cosa poteva significare esattamente? Per quanto si sforzasse di trovare un senso, non ci riusciva.

    Arrivò a casa della sua amica, che distava solo 15 minuti e suonò il campanello. Aspettò un po’ e finalmente la porta di ingresso si aprì. Si trovò davanti una Jessica meravigliosa. I capelli, lunghi e ricci, riccissimi, erano ciò che risaltava subito alla vista. Indossava una magliettina nera, leggins colorati ed un paio di stivali.

    Entrò in casa e l’amica la guardò dritta negli occhi :

    – Che sogno hai fatto? Al telefono cercavi di sembrare tranquilla ma in fondo si vedeva che eri preoccupata. -

    Jessica aveva una strana facoltà, riusciva sempre a capirla, così che Emma riusciva raramente a mentirle, solo quando si convinceva che la bugia che stava per raccontarla fosse a fin di bene. Ma ci volevano giorni di preparazione, così all’improvviso sarebbe stato impossibile.

    Si sedettero nel comodo divanetto giallo del salone.

    - Sembrava proprio di essere in uno di quei videogiochi che mi hai fatto scoprire quest’estate e che abbiamo finito durante la notte – Jessica era un’amante dei videogiochi, li comprava quasi tutti e li finiva con una velocità disarmante.

    Finì di raccontarle il sogno e lei la guardò profondamente, quasi con ossequio, parlando piano. Sembrava che avesse già la risposta pronta, ma voleva dosarla cercando le parole esatte da dire invece di riferirla velocemente con parole poco chiare.

    - A primo impatto potrebbe sembrare un sogno banale. Magari adesso ti trovi in un periodo difficile, e vorresti un ragazzo. Non ne hai mai avuto uno serio, e sai che averne uno potrebbe aiutarti a superare questo periodo difficile. D
    Dopo quello che hai passato all’interno del collegio, devi solo trovare la tua quotidianità. Ma mi sento di dirti che potrebbe esserci qualcosa in più. Il sogno si complica – disse respirando e affannandosi come dovesse dire qualcosa di spaventoso – La parte che più mi ha colpita è stata quella dell’ombra. Quando il ragazzo è scomparso hai detto che non riuscivi più a sentirti, come se non esistessi, ma la tua ombra c’era ancora, giusto?

    - Sì - annuì con il viso.

    - Bene, mi sento di dirti questo, per quanto sbagliato possa essere. All’inizio eri un tutt’uno con l’oscurità, ne eri come risucchiata, ma quando hai visto quel ragazzo questo tuo sentimento è cambiato, e nonostante lui fosse stanco, sconvolto, ha distrutto le tenebre che ti attorniavano portando un po’ di luce. Che tu e il ragazzo siate la stessa persona? Uguali, ma indubbiamente diversi – Le sue parole erano spaventose. Emma non riusciva a fiatare, così la lasciò continuare senza far trasparire nessun sentimento.

    - Due lati completamente diversi della tua persona. Il primo lato è quello che ti fa sprofondare nell’oscurità, il secondo è quello che ti libera ma non per questo significa che sia qualcosa che possa essere realmente accettato dalla società. Appare come chiaro e liberatore nel sogno, ma nella realtà apparirebbe come una macchia nera di pece, e ribalterebbe i colori del sogno. Non a caso quando hai visto quel ragazzo, quando hai capito in sogno che dentro qualcos’altro, sei finita per essere solo ombra. L’ombra è simbolo di dualità, oscurità e luce che si fondono e si confondo, qualcosa che non riesci bene a comprendere nella realtà, a cui cerchi di non pensare, e che nel tuo sogno si rende manifesto. Emma… c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?

    Le sue parole la pietrificarono completamente. Non sapeva cosa rispondere, così liquidò la faccenda dicendo semplicemente che non sapeva di cosa stesse parlando e che doveva rifletterci meglio. In realtà sentiva le sue parole andare a fondo al suo corpo, erano una lama e facevano tanto male che per poco non cadde lì per terra, sul tappeto egiziano.

    - Questa è solo la mia interpretazione. Nessuno dice che debba essere giusta, quindi non lasciarti impressionare così facilmente.

    -Sì, hai ragione. Non sono impressionata, semplicemente stupita. Riesci a rendere tutto così reale, non finirai mai di emozionarmi

    - Ma non fare la ruffiana. Andiamo che siamo in ritardo.

    Si affrettarono ad andare verso la fermata del bus. Appena arrivò, salirono e si accomodarono verso le ultime fila. Jessica cominciò a parlarle, ma lei non l’ascoltava sul serio. Era ancora concentrata su quel sogno. Tutto il resto era passato in secondo piano. E se la sua interpretazione fosse stata vera? E se il terribile segreto che si portava dietro da quando era piccola la influenzasse in questo modo?


    Le lezioni cominciarono ma Emma non riusciva a seguirne nessuna. Quando la campanella suonò, uscì fuori dalla classe con lieve anticipo rispetto agli altri compagni di classe che stavano ancora riponendo i libri in borsa. Il corridoio era vuoto, così si diresse velocemente verso l’uscita, nel giardino della scuola che sembrava estendersi all’infinito. Di certo non aveva niente da invidiare al labirinto di Minosse, e grande com’era incuteva terrore. Era pieno di statue maestose di figure mitologiche, quali il Cavallo Alato e il Grifone.

    Al c’entro c’era una grande fontana. Emma si sedette comodamente nei suoi gradini.
    Sopra di lei il cielo aveva il colore dell’alluminio grigio bagnato. Temeva potesse piovere da un momento all’altro e un soffio gelido la trapassò, facendola rabbrividire. Si strinse forte nel suo cardigan, quand’ecco che i suoi pensieri vennero bruscamente rotti da una figura che la lasciò a bocca aperta, spaventata, atterrita, inerme. Le provocò un brivido che, per la sua ferocia, non poteva essere paragonato al precedente. Le percorreva tutta la schiena dorsale e scendeva già, superando i fianchi.

    joseph



    Era un ragazzo. Sembrava intagliato nel granito, modello perfetto di una futura statua ispirata al mondo classico. Quel ragazzo che inseguiva senza sosta nell’incubo, era lui. Non riusciva a spiegarlo, non sapeva neanche se fosse la sua immaginazione che stava lavorando di sua iniziativa, ma le sembrava tutto vero. Più lo guardava, più stava male. Lei era una perfetta, non aveva mai provato qualcosa per nessuno dei tanti ragazzi che ci avevano provato. Li aveva reputati banali, non al suo livello e li aveva subito scartati. Ma lui, lui era più che perfetto.

    Un brivido nasceva, la bocca si seccava, le mani diventavano roventi, lo stomaco andava in agitazione sotto la gabbia delle costole.
    Si bloccò di colpo.
    Abbassò lo sguardo mentre le sue guance diventavano rossastre e scappò via.

    Tornò a casa e si rinchiuse nella sua camera per ascoltare la musica.
    La musica stimola la creazione di luoghi, completi di personaggi e ambienti. Proietta scene fantastiche, complete ed avvincenti… scene che non avverranno mai. La musica promuove l’io interiore sollecitando i sogni ad occhi aperti.

    E lei stava sognando di un mondo fantastico, dove c’era solo lei e lo sconosciuto.

    Mentre continuava ad immaginarlo, le squillò il cellulare. Era un messaggio inviato da Lorenzo, il suo migliore amico. Quella sera dava una festa, e lei non poteva mancare.

    Indossò un vestitino bianco, rossetto rosso e tacchi neri alti. Si guardò e si piacque parecchio. Era meravigliosa.
    Prese la pochette e scese giù salutando gli altri ragazzi della casa e i governanti dicendo che avrebbe fatto tardi. Non obiettarono, conoscevano alla perfezione Emma e sapevano quanto brava fosse.

    Aprì la porta e si sedette nel vialetto, in attesa che arrivasse la macchina per portarla alla festa. A quanto pare l’avrebbe presa il migliore amico di Lorenzo, Dean.

    Da parte di Emma c’era solo grande simpatia nei suoi confronti, nulla di più. Lui amava divertirsi e cercava lo svago senza pensare alle conseguenze, eppure non osava mai andare contro nessuno. Preferiva il negoziato alla lotta, e faceva bene, perché come lottatore sarebbe stato pessimo. Per quanto il suo fisico potesse essere possente ( grande sportivo, golf, tennis e persino canoa ) a lui interessava solo farsi piacere da tutti, e con i soldi a disposizione non era un gran problema.

    Riguardo al divertimento, ad Emma piaceva molto. Amava far baldoria, ridere, bere, e aveva tirato, spaccato, alzato, salito sempre con gioia, accettando tutti i dopo sbornia come una conseguenza e non come castigo. Dean, invece, era un casinista sfrenato, un forsennato nel ricercare piaceri ( per lui consistevano nell’alcol, negli amici e nelle belle ragazze ) e ogni volta finiva per ubriacarsi, il che non era affatto bello a vedersi. Diventava irrequieto, cominciava a piangere e a crucciarsi. Entrava in uno stato di lieve isterie. Ed era quello il momento in cui cominciava a diventare un peso per tutti. Qualcuno doveva stargli vicino cercando di confortarlo ( ogni tentativo, però, risultava sempre vano ).

    Dean



    Trascorsero 10 minuti, finché non arrivò con una Bentley nera, magnetica, enorme, meravigliosa. Emma si alzò ed entro in macchina.

    - Hey, ciao Emma. Scusami per il ritardo, ma sono dovuto andare a prendere questo scansafatiche di mio cugino. Te lo ricordi, vero? – Partì spedito e la macchina non indugiò neanche per un attimo.

    - Certo che lo ricordo, non potrò mai dimenticare quella festa in cui ha cercato di trafugare la bottiglia di aceto in cantina, convinto ci fosse del vino-

    Suo cugino impazziva letteralmente per l’alcol, in particolare il whisky.

    - Haha sì,sì ricordi bene – Scoppiò in una fragorosa risata. Il cugino lo seguì.

    - Hey, mi avevano TUUUUTTI detto che lì c’era da bere. E’ colpa mia se mi fido così facilmente delle persone? – Si finse seccato.

    - Ma per favore! Cercati un’altra scusa. Non ci crede nessuno, vero Emma?

    - No, di certo non io – Guardò il cugino sorridendo.

    - E va bene, va bene, ho qualche problema con l’alcol. Ma voi lo alimentate parlandone. Mi è appena venuta voglia di berne un po’ – Tirò fuori una piccola boccetta dalla tasca e la bevve trangugiandola in un attimo.

    - Ve la offrirei, ma temo di averla finita -

    - E io che ero convinta ne avessi una di riserva nelle mutande. Invece l’avevi semplicemente nella tasca -

    - Beh ovvio che ne ho una di riserva tra le mutande, ma è per dopo. E’ la più costosa. Ah golosona, vuoi favorire ora? – si tocca le mutande – Ce n’è abbastanza, ti piacerà, tranquilla.

    Lei lo guardò disgustata, e si pentì della battuta che aveva fatto – Penso che per stavolta passerò -

    Il tipo vicino a lei, un grosso omone di minimo 100 kili, scoppiò in una fragorosa risata.

    - Non basta per nessuno di noi, è più piccolo della bottiglietta che hai bevuto poco fa – esordì un ragazzo che Emma non riusciva a vedere perché nascosto dal super-omone.

    - Emma, comunque scusami se sono stato scortese, non ti ho presentato gli altri due ragazzi. Quello vicino a te è John, l’altro, invece è Joseph – Il super omone appoggiò la testa contro lo schienale permettendole di vedere Joseph. Emma non riusciva quasi a crederci, si bloccò di colpo.

    Era lui.

    joseph



    Il sangue si gelò.

    Lui gli fece un semplice cenno con la mano. Lei riuscì solo a dire un c-ciao stentato, con una voce strana e mozzata.
    Si appoggiò allo schienale, e per tutto il tempo della strada fece finta di ascoltare Dean che raccontava la storia di una ragazza, di un calice e di qualcos’altro che non riusciva a capire. A quanto pare avevano fatto sesso.

    Non riusciva a crederci, cosa ci faceva lì?

    Vi è mai capitato di riflettere così intensamente su qualcosa mentre siete in macchina che quando arrivate a destinazione, e il motore si spegne, vi sentite tirati fuori da una realtà in cui eravate completamente immersi? E ancora sbigottiti, con la testa tra le nuvole, seccati, uscite dalla macchina senza ben capire dove vi troviate o quello che sta succedendo? Era proprio quello che era successo ad Emma. La cosa più strana è che dentro la macchina era con lui, ma non l’aveva realmente capito. Il tempo si era come fermato, lei si era fermata, ed era stata solo una sua sensazione. La macchina continuava a muoversi veloce tra le strade, le solcava, e sebbene la città, che si mostrava dai finestrini, densa di traffico, impiastricciata di neon, fragorosa e vorticante di attività, fosse in movimento, lei non se n’era accorta. Ed erano arrivati subito a destinazione. Era scesa dalla macchina, e ora il suo migliore amico Lorenzo era spuntato da non si sa dove e la prendeva per mano portandola in giardino. Le parlava, ma lei non sentiva, non riusciva a sentirlo, e ora lui l’abbracciava, e piangeva. Che stava succedendo? Doveva ascoltarlo, era il suo migliore amico, non doveva farsi distrarre da niente. L’amicizia prima di tutto. Ma se n’era già andato; non c’era più, era sparito.
    Si guardò intorno cercando di capire dove potesse essere andato, ma non c’era più traccia di lui. Il grande giardino della casa in campagna traboccava di tavoli, su cui poggiavano patatine, salatini e bevande. La più grande varietà di alcolici era lì.

    Un grande falò, al centro, illuminava tutto.

    Quel fuoco l’avvolgeva, la faceva stare bene riscaldandola sempre di più. Davanti a lei, dall’altra parte del grande fuoco, immobile, sostava Joseph.

    Emma si sarebbe bruciata.

    Non si era mai sentita in quel modo, e non riusciva a comprendere cosa le stesse succedendo, non riusciva a spiegarsi l’attrazione magnetica che non cessava di fronte a nulla, neanche di fronte ai suoi amici.
    Si guardavano e i loro occhi non riuscivano a scollarsi l’uno dall’altro, le loro pupille fisse. L’immagine dell’uno passava per l’iridi dell’altro che le trapassava, le colorava, le illuminava.

    In macchina, prima, il loro sangue si era gelato, intirizzito, bloccato. Ora fluiva ricco come un fiume.

    Lui si avvicinò e le disse di seguirlo.
    Lei tremò per un attimo, non riusciva a muoversi ma quando si voltò per vedere se lo stesse seguendo, acquistò un po’ di coraggio e camminò cercando di mostrarsi sicura di sé. Camminarono come se non si conoscessero, ognuno per la propria strada, ma seguendo in realtà la stessa metà. Quando furono lontano da occhi indiscreti, si fermarono nella foresta, ed Emma, senza riuscire a spostare un singolo muscolo, stava ferma. Lui si avvicinava sempre di più, assetato della sua bellezza, incapace di resisterle:

    - E’ da quando ti ho visto a scuola che non faccio che pensarti. Non mi è mai successo, non sono mai riuscito a provare qualcosa del genere. Pensavo di essere strano. – Le sussurrò tutto questo dolcemente all’orecchio. La sua voce cristallina si diffondeva come droga e saliva ad infestare la sua testa. Le loro mani si toccarono, e subito dopo anche le loro labbra. Le lingue si incatenarono e la saliva invase le loro teste come alcol pregiato. Emma sembrava dire – Lasciate che mi accarezzi così dolcemente per sempre, lasciate le sue mani così delicate restino intrecciate alle mie per l’eternità -

    Quel bacio sembrava durare all’infinito, nessuno voleva slegarsi da quella morsa che iniettava veleno dolce. La mano di lei gli sfiorava il viso, dolce, delicato, perfetto.
    Le pupille erano chiuse, ma riusciva a vedere quegli occhi che avevano lasciato una traccia indelebile nel suo cuore.
    Lui si fermò improvvisamente.

    - Perché non mi stai baciando? Che ho fatto di sbagliato? – Se avesse potuto avrebbe gridato Fatelo Continuare, vi prego.

    - Vieni con me – disse e la prese per mano. Fu un tuffo al cuore che si stava cristallizzando velocemente. Andarono verso un vecchio casolare :

    - E’ di Lorenzo. La porta dovrebbe essere aperta – tentò di aprirla ma non voleva sentire ragioni per aprirsi. Così gli diede un forte strattone che fece volare la porta fino a spaccare la finestra dall’altra parte della stanza.

    - Oh cavolo, dovevo fare più attenzione. E’ una vecchia catapecchia, e la porta era leggerissima. Ma comunque, l’importante è che si sia aperta -

    Lui entrò piano piano ed Emma, come impossessata, cominciò a prendere la rincorsa e lo strinse con tutte le forze che possedeva. Le sue mani erano saldamente congiunte mentre gli stringevano l’addome. Stava cercando di trasferirgli tutte le sue emozioni, in qualche modo.

    - Scusa. Non so cosa mi stia succedendo, cosa mi stai facendo provare, ma io, sai io voglio solo chiudere gli occhi, io voglio …

    Lui voltò velocemente la sua testa verso di lei senza dargli l’opportunità di finire il discorso. La baciò dolcemente, amabilmente. Scese fino a baciarle il collo :

    - Sei tutto quello che ho sempre desiderato. Sei stupenda – le sue parole echeggiavano nella sua testa, con la consapevolezza che avrebbero continuato a rimbombare per sempre.

    Subito dopo mise fine a quell’incredibile abbraccio e si diresse ad esplorare il suo corpo. Cominciò a spogliarla velocemente, in preda al delirio della passione che lo trascinava. La delicatezza del bacio lasciò posto al desiderio incombente di possederla. Poteva sentire chiaramente la passione pulsargli nel cuore e infondere forza a tutte le altri parti del corpo. Arrivò alla camicia che stava per sbottonarla:

    - No aspetta. Aspetta Joseph- Tutto stava avvenendo troppo velocemente. Aveva bisogno di tempo, di pensare anche solo per un secondo. Non voleva certo mollare la presa, ma non poteva tollerare che il momento più importante della sua vita venisse consumato in quel modo e per giunta così troppo velocemente. La carica elettrica tra i due era dirompente, esagerata, ma lei doveva cercare di ristabilizzarsi e trovare il controllo.

    -Andiamo, andiamo ,veloce- disse lui, mentre Emma cercò di riprendersi, tra la confusione di ciò che stava accadendo.

    Cominciarono a correre, e quando riuscirono a lasciarsi alle spalle il grande casolare lui la prese per mano e col fiatone le disse che qualcuno stava arrivando e che aveva potuto distinguere chiaramente i passi di alcune persone.

    - Non mi ero accorta di nulla, e non riesco a dire quanto sia confortante essere avvertiti che qualcuno si avvicina nel buio. Non oso immaginare cosa avrebbero pensato se ci avessero visto…

    - Seguimi. C’è un’altra casetta che fa sempre parte della proprietà qui vicino. Possiamo andare lì-

    Procedettero mano nella mano, mentre l’aurora boreale incombeva e si muoveva maestosa, svolgendosi come un gigantesco fondale di teatro. Color di rosa e di lavanda pulsava contro la notte, e attraverso lei brillavano le stelle acuite dal gelo.

    Per tutto il resto del tragitto non parlarono, solo la natura intorno a loro si muoveva, instancabile.

    - Ecco, questa stradina ci porterà a casa – esclamò felice.

    Salirono per il lungo vialetto che li condusse direttamente all’esterno dello Chalet che sembrava da fiaba, immaginario. Era immerso nella pace e nel verde di una valle rigogliosa, con un ruscello che si sentiva scorrere armoniosamente.

    - Le chiavi dovrebbero essere sotto questo vaso … Eccole! Ti preannuncio già che dentro dovrebbe esserci molto freddo – Aprì la porta e accese le luci.

    Lo Chalet era decorato in modo semplice ma elegante, con mobili molto antichi che suggerivano raffinatezza e garbo.

    - Ho trovato solo delle coperte, ora provo ad accendere il fuoco – uscì fuori dalla camera in cui era appena entrato e gliene ne porse una.

    - Provo ad accendere il camino – la baciò sulle labbra e cominciò a “litigare” con il comignolo.

    - Mi piacerebbe darti una mano, ma sfortunatamente non me ne intendo per niente. Sarei solo d’impiccio -

    - Non importa, non è così difficile, è elettronico. Aspetta… dovrei fare così, sì. Adesso dobbiamo solo aspettare un po’ – si voltò verso di lei.

    Prima erano al buio, adesso invece potevano identificarsi, accorgersi che ogni loro lineamento era insuperabile. Lei sarebbe potuta stare ore a fissarlo e contemplarlo. Erano eterei e misteriosi.

    Si sedettero su di un grande divanetto coprendosi con le grandi coperte di lana. Lui le mise un braccio intorno al collo :

    - Se mi vuoi, se mi vuoi… dimmelo ora. Guardami e dimmelo -

    Il cuore di Emma cominciò a battere al ritmo di un tamburo, e poi di un martello pneumatico. Come poteva resistergli? Come poteva non arrendersi a lui? Lo guardò dritto negli occhi, nei suoi occhi celesti che le suggerivano l’idea di un Paradiso. Sembrava un Angelo. Prendendosi coraggio disse:

    - Io… ti voglio – senza riuscire a dire nient’altro, lui agì e le tocco dolcemente la bocca con le dita.

    - E’ un incantesimo il nostro. Non credevo ai colpi di fulmine – L’avvinghiò a sé ed Emma impazzì :

    Quelle due braccia hanno tutta la sicurezza che ho sempre desiderato. Oh, continua a cingermi così, ad infettarmi, contagiarmi dei tuoi sentimenti che vedo così puri. Vorrei gridarglielo, urlarglielo.

    La baciò mentre la presa del suo abbraccio si faceva sempre più forte. La sua saliva lambiva dolcemente le sue labbra. La trasformazione era ormai avvenuta, l’elastico dei loro sentimenti aveva raggiunto un punto di arrivo, e non c’era più modo per immunizzare i loro organismi in cui scorrevano energiche le tossine. Non c’era modo per disinfettarsi e decontaminarsi. Erano degenti, completamente ammalati.

    - Ti piaccio davvero? – disse lei, poggiando la testa sul suo petto

    - Mi piaci da morire. Sei… semplicemente meravigliosa.




    Parlarono per tutta la notte, delle loro paure, dei loro desideri, senza mai tregua. Non fecero nulla quella notta, se non dormire accoccolati l’uno accanto all’altro, consapevoli di essersi trovati.

    Emma e Joseph divennero subito coppia fissa. Passavano tutto il giorno insieme. I mesi a seguire furono intensissimi, soprattutto baci, ma anche coccole ed esperienze senza confini. Dopo scuola si riunivano e passavano tutta la giornata insieme. Avevano tutto il giorno per loro due, per viversi, per scoprirsi.

    -Che facciamo oggi?
    -Scopriamo il mondo, oggi non voglio esitazioni, voglio solo noi due.

    Presero la macchina che Emma aveva appena comprato, una decappottabile rossa, ed il viaggio fu senza precedenti. In macchina si rideva, si scherzava ed Emma non riusciva a crederci, ogni fiato d'amore era vita, ogni bacio era sentimento e si mischiavano carezze, baci, notti d'amore. Arrivarono in una piccola cittadina al Festival del cinema e passarono il giorno lì, tra i popcorn e vecchi film d'autore. Alcuni erano inguardabili, senza nessuna trama, ma non si concentravano molto sulla visione. Parlavano, senza sosta. Ovviamente Emma sapeva che certe cose non potevano essere dette, ma sapere di potersi confidare con qualcuno che non fosse Jessica le sembrava incredibile.

    Durante la proiezione di una di quelle produzioni considerate capolavori, Via col vento, il cellulare di Joseph squillò. Lui era in bagno così’ Emma sbirciò e notò un messaggio da parte di Lorenzo:

    sms

     
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