Blue Eyes

A capitoli| fantasy/romantico/mistery | > verde/arancione

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. MidoriMoe
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Capitolo 2 : Quotidianità



    Nessuna delle nostre piccole sofferenze quotidiane resiste a un buon colpo di pedale. Tristezza, attacchi di malinconia… inforchiamo la bicicletta e fin dalle prime pedalate abbiamo l'impressione che un velo si squarci.
    Didier Tronchet, Piccolo trattato di ciclosofia, 2000



    Febbraio, 2017

    Urla, schiamazzi, insulti volano nell’aria , quasi nello stesso momento in cui pure gli oggetti sospesi in aria cercano di sconfiggere la forza di gravità. Ogni parola è un proiettile che ti perfora l’anima in profondità. In questo scontro non ci sono vincitori ma solo vinti, devastati fino al midollo. Finirà mai questa agonia? Spunterà da dietro i muri dell’orgoglio una candida bandiera? Dov’è la pace che si innalza e fa valere i suoi principi. E quando finiscono i proiettili, gli oggetti, gli insulti, cosa resta alla fine? Cadaveri o delusioni ? Dov’è la speranza in questi momenti svuotati di vita e di amore? Dove sono gli alleati, ovvero quei ricordi piacevoli che rievocano alla mente attimi di un passato che ormai sembra troppo lontano e pare sempre di più ad una favola. Dormiremo tutti sepolti in un campo di grano aspettando che il Mietitore faccia il suo lavoro, dove non ci saranno rose o altri fiori a coprirci, ma solo papaveri rossi, rossi come la dignità persa, la rabbia e il sangue che ribollisce in noi. Si sta assistendo solo ad un litigio, dove non ci sono armi, non ci sono carro armati, non ci sono guerre, ma solo l’irrefrenabile desiderio di annullare colui che ti sta di fronte, colui che un tempo era amico ed in quei minuti invece è diventato il nemico da estinguere.
    Non riuscivo più a distinguere in casa mia una lite da una piccola guerra interna. Non riuscivo più a distinguere la verità dalla menzogna. Maschere e non più genitori, vivevano sotto il mio tetto. Ed io, inerme come Abramo di fronte al volere di Dio, rimanevo in silenzio ad osservare come le mie solide certezze costruite in questi anni della mia vita, cadevano in frantumi davanti ai miei occhi. E io non potevo intervenire. Giunsi ad una conclusione: andarmene. Niente ora poteva più trattenermi in questo luogo. Beh, forse una cosa c’era : la vista magnifica dalla finestra di camera mia. Mio caro colle che ti estendi dinnanzi ai miei occhi: verdeggiante in primavera e immacolato durante l’inverno. Era da giorni che pianificavo la mia partenza. In questo viaggio però non mi sarebbero servite valige o quant’altro. Era necessario che portassi solo il mio caro diario segreto con me. “Dove pellegrinerò io, pellegrinerà anche Lui.” Sì, in queste pagine ho scritto tutto a riguardo di quel tumore-ricordo, e mai nessuno al mondo avrebbe dovuto sapere di lui, non dopo quello che succederà il 22 Febbraio.
    Era giunta la sera. Il crepuscolo in questa stagione giungeva molto presto. Dalle cinque di pomeriggio in poi, tutto veniva avvolto da un velo nero di oscurità, come se la morte avesse deciso di coprire il mondo con la sua veste. Ero riuscita a fuggire da quella litigiosa mattina andando a Padova e ora stavo tornando in treno verso casa. Una volta giunta alla stazione di Vicenza per il cambio, percepii una strana sensazione. Non ci feci molto caso, e proseguii verso il mio binario. Le persone mi sfrecciavano accanto, angosciate dal pensiero di perdere la coincidenza con il treno successivo. “Coincidenza”, quante sfumature può assumere di significato. E fu una strana coincidenza, di quella serata, a portarmi sull’orlo del baratro.
    In lontananza notai una figura particolarmente nota a me fissarmi. Non riuscii a focalizzarla al meglio, anche per il fatto che da dove mi trovavo, era abbastanza lontana. Ad un certo punto si mosse verso l’inizio dei binari. Io la seguivo con lo sguardo immobilizzata. Poi, d’improvviso, passò un treno ad alta velocità. Persi di vista quella figura. Aspettai qualche istante che il treno svanisse dalla mia visuale, e poi il cuore mi si fermò. Tu- tummmmmmm (----------------------) Tra tutte le persone che potevo vedere in quella stazione, vidi il mio precedente ragazzo abbracciato con una ragazza che era appena scesa da un altro treno. Le era corso in incontro e baciata. Rabbia, odio, dolore, angoscia, tristezza, amarezza e qualsiasi sensazione negativa mi invasero, penetrandomi nelle ossa e bloccando ogni mia reazione. Li vidi andarsene felici per mano. Io resti lì sul binario, pietrificata. Risanai da questo duro colpo nel momento in cui un controllore di Trenitalia, tutto preoccupato, mi si avvicinò chiedendomi se stavo per caso accingendo a buttarmi sulle rotaie. In quel momento realizzai due fatti: inconsciamente mi ero portata sul bordo del binario nel lato che da sulle rotaie, e non mi ero accorta che stesse per arrivare un treno proprio su quel binario dove ero. Assicurai il controllore sul fatto che non volevo gettarmi sotto un treno, anche perché il mio nome non è Anna Karenina, e per giunta non ho nessuna vergogna da punire. Anzi, mi sento più vicina, come faccenda amorosa, a suo marito, il povero dottor Aleksei Aleksandrovič Karenin. Inoltre Anna Karenina e il suo Aleksej Kirillovič Vronskij ( al femminile) aveva da poco lasciato la stazione. Chiudendo la parentesi a questa digressione letteraria, il controllore in seguito mi accompagnò fino al mio treno, per assicurarsi che non avessi intenzione di fare qualche scelleratezza. Una volta preso posto nel vagone, un sedile vicino al finestrino, mi ricordai di quella figura strana sui binari, che svanì misteriosamente. Cominciai a guardare fuori per vedere se riuscivo ancora a scorgerla, ma nulla. La stazione era deserta.
    Una volta a casa, mi precipitai sul mio letto ad ascoltare la musica. Mia madre entrò un paio di volte in camera mia chiedendomi qualcosa, senza però ottenere una risposta da me. La musica aveva invaso la mia testa, leggevo il labiale di mia madre cercando di scorgere qualche sfumatura di emozione. Non c’era più nessun colore di sentimento in lei. Era diventata fredda e grigia.
    Dopo cena uscii con un mio caro amico per passare la serata in un bar non molto lontano da casa mia. Parlammo, discutemmo di argomenti futili, sorseggiammo un drink e poi verso le undici ci dirigemmo tutti e due verso le proprie dimore.
    Le giornate passavano così, vuote, prive di intensità. La maggior parte delle discussioni che intrecciavo con altri, le dimenticavo. Le parole, i discorsi avevano perso il loro carattere e la loro importanza. In quei giorni mi pareva di vivere più in un sogno che nella realtà. Prima di addormentarmi guardai il cellulare. C’era un messaggio del mio ex ragazzo. Diceva “ Ehi Jesise. Spero di non disturbarti, come stai? Avrei bisogno di un favore. Temo di aver dimenticato da te, ancora quando .. beh ci frequentavamo, un mio braccialetto. Vorrei passare io da te, ma temo della reazione dei tuoi. Se me lo potresti portare tu, quando vuoi, saresti gentilissima. Sai dove sto. Ciao ciao”
    Immediatamente capì a quale braccialetto si riferisse. Prima di rispondergli andai a cercare l’accessorio in questione nei miei porta gioie. Un volta trovato, lo misi in una busta contenente altre cose sue. Infine misi tutto in borsa. Mi bazzicava l’idea di non rispondergli, però alla fine gli scrissi un semplice, conciso “Okappa”.
    Il giorno dopo mi svegliai di buon ora, feci la mia solita colazione e poi partii per prendere il mio solito treno. Nel quale sedevo spesso nel mio solito posto e come al solito mi perdevo nei miei quotidiani pensieri. Come ogni volta arrivavo a Venezia e sempre perdevo il battello.

    Come al solito, mi mentivo pensando a questo genere di vita, per dimenticare il luogo intorno a me in cui molto spesso mi ritrovavo, una volta uscita da casa mia.
     
    .
7 replies since 10/3/2014, 11:51   181 views
  Share  
.
Top